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18/04/2016

Referendum trivelle: quorum fallito, ma Renzi non può stare sereno

Matteo Renzi è sicuramente bravo a giocarsela a parole, come faceva ai bei tempi della politica giovanile tra Figline e Pontassieve, ma i numeri qualcosa dicono. Solo gli elettori delle 19 di domenica raggiungevano, per non dire superavano il numero di elettori del Pd nella “gloriosa” campagna elettorale delle Europee 2014. E si tratta di un numero di persone che si è espresso in modo opposto alle indicazioni del segretario del Pd. Se andiamo a vedere i voti validi espressi dai “Sì” sono oltre 13 milioni, un numero che il Pd, sondaggi e proiezioni alla mano, non è in grado di raggiungere nei prossimi anni. Questo per dire che la formula di questo referendum, renziani contro tutti, stavolta ha funzionato grazie all’astensione (domenica al 68 per cento). Ma ci sono numeri antirenziani che ad ottobre, sul referendum costituzionale dove non c’è quorum, potrebbero rivelarsi decisivi. Il trentadue per cento finale, guardando a come si ripartisce il corpo elettorale, nella prospettiva di ottobre, per Renzi è un problema. Ma oggi non siamo a ottobre, non si parla di Costituzione, ma di ambiente e petrolio, e non possiamo sottovalutare quanto accaduto. Nel 2011, con un sistema dei media quasi totalmente schierato a favore dell’astensione, andò a votare il 57 per cento dell’elettorato. Fu la prima stagione di protagonismo dei social media, nei confronti dei media generalisti, ma non si può sempre sperare nella novità mediale, come erano i social per un referendum, o nella gente che getta il cuore oltre l’ostacolo. Perché i referendum del 2011 avevano alle spalle un lungo lavoro territoriale dei comitati per l’acqua pubblica, e territorio e social media assieme fanno corto circuito, con la vicenda di Fukushima che fece da traino su uno dei quesiti referendari (il nucleare). Oggi l’aspetto ambientale è venuto in secondo piano, a livello di grande pubblico, e non si può sperare che l’ennesimo scandalo (quello Guidi) scuota più di tanto i social media. È dal 1992 che l’Italia è scossa dagli scandali, un effetto inflazione, nella percezione collettiva, è da mettere in conto. Quel conto che fa mancare il 18 per cento di elettorato per arrivare al quorum. Siccome i social media, con l’esclusivo apporto dei territori, non sono più quell’elemento che può valere da solo il 50 per cento dell’elettorato, bisogna guardare a cosa accade agli old media. I media tradizionali hanno anche un ruolo di introduzione, per motivi di linguaggio e di presenza nell’immaginario, ai temi complessi. Come quello del petrolio, e delle trivellazioni, che invece è stato abbondantemente silenziato e massacrato da Renzi. E i media tradizionali hanno giocato per un soggetto solo, in modo da far proclamare a Renzi quella finale “vittoria dei lavoratori”, dopo la chiusura dei referendum, che è una sinistra perla di protagonismo politico, dettata con l’arroganza del triumviro che parla a reti unificate.

Mediaticamente, per tenere basso il quorum è stato fatto di tutto: dal presidente della Repubblica che vota tardi, per fare da traino meno possibile all’elettorato, al presidente emerito che invita a non votare. Ai tredici minuti complessivi di informazione del Tg1 in tutte le edizioni dell’ultima settimana (!), ad un’ossessiva campagna del presidente del Consiglio sull’inutilità del voto. Anche i media che hanno dato maggior spazio al referendum, come La 7, si sono “dimenticati” di spiegare le ragioni del no. Si sono visti servizi che sono stati vere chicche della disinformazione: l’invito all’astensione di Renzi spiegato con chiarezza, il resto con confusione, senza un filo logico, senza un riferimento simbolico (persona, immagine, temi). Il paragone che è stato fatto con il referendum sulle preferenze del ’99, per capire il trend elettorale della giornata, dimentica qui la cosa più importante. Il referendum del ’99 ebbe un traino, nei giorni precedenti al voto, non eccezionale ma comunque incomparabile a quello sulle trivelle. E poi, cosa importante, i richiami informativi dei tg della giornata: quelli che sono in grado di allertare l’elettore che, come ormai di consueto, decide sempre all’ultimo momento. Nel ’99 ci furono, e furono dignitosi, oggi no. Persino sulla stampa locale, prendiamo a campione quella delle nostre parti, il referendum è scomparso. Via i consueti articoli di colore su dove e fino a che ore si vota, via mappe, cartine e fac-simile per non sbagliare. Durante la giornata delle domenica, per fare un esempio, sia Il Tirreno-Livorno, a differenza di quello regionale, che QuiLivorno non parlavano del referendum. Mai accaduto. Anche Berlusconi, per mandare un ultimo segnale di disponibilità al presidente del consiglio, non è andato a votare. E i suoi media declinanti l’hanno seguito. Sky ha favorito ogni modo il messaggio di chi era favorevole alla trivellazione. Renzi per l’astensione ha puntato sulla demotivazione, l’ignoranza, l’assenza di informazione. E anche sugli italiani all’estero. Le cui schede, in Italia, sono tornate davvero compilate da pochi. E c’è chi denuncia, come il segretario Prc Ferrero, come si sia sistematicamente rallentato il meccanismo di trasmissione del materiale elettorale. Insomma, abbiamo visto un dispositivo di demotivazione al voto che va dalla presidenza del consiglio alle radio, dal presidente della repubblica che vota tardi per non fare da traino ai media locali, al tg1, a Sky, ai soliti grandi giornali. Tutto questo dispositivo, da demotivazionale in autunno si trasformerà in motivazionale. Siccome a ottobre non ci sarà il quorum allora il gioco, di questo grosso dispositivo, sarà a motivare la vittoria renziana. E i numeri di oggi, che sono favorevoli nell’immediato ma sfavorevoli a Renzi in ottica ottobre, potrebbero anche cambiare. Il venditore di casalinghi di Rignano, con tutto il rispetto per quella categoria di ambulanti e per i rignanesi, ha già avvertito in tv: mi gioco tutto. E non sarà una passeggiata.

Nel sistema dell’informazione ufficiale ormai è chiaro: parla solo Renzi. Anche se le uscite tipo "ciaone" di qualche renziano doc come Carbone rischiano di essere clamorosi boomerang comunicativi. Senza informazione plurale, tecnologica e complessa non c’è democrazia, ma vallo a dire a chi, quando parla di democrazia, l’unica cosa che sa fare è citare articoli della costituzione. Convinti che quando è stata citata la formuletta “padri costituenti”, proveniente tra l’altro dai telefilm americani non dalla tradizione politica italiana, tutto diventa attenzione e informazione. E qui è chiaro l’avvertimento a tutti i costituzionalisti, alcuni professionali altri improvvisati, che sono convinti di parlare, di qui a ottobre, della parte di costituzione che sta più a cuore magari dai tempi delle medie: in autunno sarà battaglia sui media, pena la sconfitta. Non solo sui tempi a disposizione nei dibattiti, sugli spazi da occupare ma soprattutto nel linguaggio. C’è una fascia di elettorato 18-24 e 24-30, che sarà decisiva per l’esito del voto, che non si commuove ai racconti della costituente, e che se non trova qualcosa di fruibile nelle proprie playlist o sui social neanche ti ascolta. In questo senso abbiamo già visto sarcofaghi politici prendere posto, autonominandosi e persino scontrandosi per cariche e posizioni, in comitati dove si recita un linguaggio defunto della politica e dove non c’è un esperto, che sia uno, di social media. Se qualcuno nella sinistra bollita pensa di aver ritrovato un ruolo semplicemente recitando formule del trapassato remoto, buone per le riedizioni dei manuali di educazione civica, questo qualcuno ha sbagliato dimensione spazio-temporale. È meglio dirselo ora, e prendere provvedimenti, che trovarsi domani Renzi che, da qualche balcone di Palazzo Chigi, saluta la nuova era delle riforme.

Senza Soste redazione - 18 aprile 2016

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