Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

18/04/2016

La campana suona per Renzi?

Formalmente la sfida referendaria di ieri se la sono aggiudicata il premier Matteo Renzi e quella parte del Partito Democratico che ha esplicitamente invitato a boicottare il voto. La tracotanza del premier diffusa a piene mani nel corso del videomessaggio mandato in onda a reti unificate subito dopo la chiusura delle urne, ieri sera, parla chiaro. Ma se Renzi ha sentito la necessità di precisare con tanta foga e urgenza che ha vinto lui è forse perché, al contrario, la sua vittoria di ieri non è poi così schiacciante ed univoca.

Il Renzi indispettito, vendicativo, rancoroso di ieri dimostra infatti che per l’attuale governo la situazione è meno rosea di quanto non appaia ad una lettura superficiale.

Data la specificità del quesito ed il fatto che di per sé la vittoria dei sì e il raggiungimento del quorum non avrebbe portato ad una ‘rivoluzione’ nel campo delle politiche energetiche di questo paese, il referendum di ieri si è caricato di un chiaro valore politico generale. Un referendum pro o contro Renzi e il suo sistema, di fatto, oltre che un pronunciamento a favore della tutela delle nostre coste e del nostro ambiente e di un’economia basata sul turismo e sullo sviluppo sostenibile fondato sulle energie rinnovabili.

Nonostante il silenzio stampa mantenuto fino all’ultimo in modo scientifico dal sistema mediatico a disposizione del governo, nonostante la scarsissima mobilitazione delle forze politiche che pure si erano espresse formalmente a favore del ‘si’, nonostante il terrorismo diffuso da chi ha lavorato a boicottare la consultazione affermando che la vittoria dei si avrebbe portato alla perdita di migliaia di posti di lavoro, a votare ieri sono andati quasi 16 milioni di italiani e di italiane. Il 32% del totale degli aventi diritto, soglia che aumenta sensibilmente se dal computo si escludono 4 milioni di cittadini residenti all’estero che nella maggioranza dei casi non sapevano affatto dell’esistenza del referendum. Dei sedici milioni di votanti più di tredici, l’85% del totale, si sono espressi a favore del ‘si’. Una minoranza, certamente, ma una minoranza assai consistente e resistente che ha scelto di recarsi al seggio disobbedendo apertamente all’invito ad andare al mare rivolto ad una società stanca e in altre faccende affaccendata tanto da Matteo Renzi quanto dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Un risultato non di poco conto, un altolà ad un governo che si è rifiutato di prendere atto della netta contrarietà di 10 regioni italiane alla normativa che concede campo libero e illimitato alle imprese petrolifere all’interno delle 12 miglia dalla costa, e che ha imposto il referendum negando oltretutto l’abbinamento del voto sulle trivelle alle elezioni amministrative di giugno. Il voto separato è costato circa 350 milioni di euro proprio quando il governo e l’Unione Europea impongono l’austerity e i sacrifici a senso unico alle classi popolari e ai ceti sociali più deboli.

Senza la costituzione di veri e propri comitati per il sì radicati e operativi nei territori, senza la raccolta delle firme – il referendum è stato chiesto da nove regioni – che costituisce l’inizio e uno dei momenti salienti della campagna elettorale, senza l’abbinamento alle amministrative il raggiungimento del quorum ieri sarebbe stato un vero e proprio miracolo.

Un miracolo che – e questo va sottolineato – negli ultimi decenni è stato raggiunto assai poche volte in Italia, sempre meno man mano che lo strumento referendario si è logorato – anche perché spesso il verdetto dei referendum è stato disatteso dai governi – e che il rifiuto della società nei confronti della politica e dei partiti è cresciuto. Di fatto in un paese in cui al voto ormai si reca poco più della metà della popolazione, con tassi di astensione sempre più anglosassoni, il raggiungimento del quorum rappresenta un ostacolo insormontabile e obsoleto all’espressione della volontà popolare che aveva senso fino alla fine degli anni ’80 ma che oggi non lo ha più. Che in queste condizioni alle urne si sia recato il 32% degli aventi diritto non è, quindi, un risultato disprezzabile, come fanno notare questa mattina anche numerosi commentatori non certo tacciabili di essere ostili a Renzi o al Pd.

Anche perché tra pochi mesi, probabilmente ad ottobre, gli italiani saranno chiamati a votare il peggioramento della Costituzione in un referendum che, paradossalmente, non prevede alcun quorum. Il premier continua a caricare quell’appuntamento della valenza di un plebiscito popolare a favore suo e della sua politica, ma se alle urne dovesse andare una quota non proprio debordante di elettorato il colpo non sarebbe indifferente. Questo senza considerare il passaggio delle elezioni locali di giugno che non si presenta certo positivo per il PD appesantito da scandali e da un segretario che ormai è sempre più simile all’ultimo Berlusconi.

Se è vero che – almeno dal punto di vista formale – la sfida di ieri è stata vinta dagli ambienti più reazionari del Partito Democratico e del suo sistema di potere, è altrettanto vero che Matteo Renzi ha dovuto pagare un alto prezzo politico per portare a casa il risultato, esplicitando per l’ennesima volta il suo schieramento a favore dei poteri forti, ed in particolare della lobby petrolifera,  proprio mentre emergevano numerosi scandali per corruzione che hanno coinvolto esponenti dell’entourage governativo e pezzi non secondari di altre istituzioni centrali nella governance di questo paese come le Forze Armate e la Confindustria. Il fatto che il quorum ieri sia stato raggiunto proprio in Basilicata, la regione di ‘Tempa Rossa’ ma anche tradizionale feudo del Pd, alle orecchie di Renzi deve esser suonato come un preoccupante campanello d’allarme.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento