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19/04/2016

Referendum. Renzi non sta sereno, ma occhio alla autoconservazione della sinistra

Se quasi 16 milioni di cittadini vanno a votare è un dato che, a parte il bullismo di Renzi davanti alle telecamere (di Berlusconiana memoria), mostra quanto lo stesso non si sente più sereno a Palazzo Chigi. Credo che tutti coloro che sono andati a votare, compreso il sottoscritto nonostante alle 19.00 fosse certo che non si sarebbe raggiunto il quorum, però si è comunque fatto 2 ore di strada per arrivare alle 22.00 in Liguria per apporre una crocetta, a poco importasse raggiungere il quorum, l’obiettivo, non solo per me, è sempre stato la luna e mai il dito. Tutti noi anche se rimaniamo dei sognatori ben sapevamo che era difficile, anzi impossibile, raggiungere il quorum, eppure siamo andati in maniera disciplinata a votare. E allora mi sorge una domanda legittima: perché? Questo referendum, come quello vinto sull’acqua, sapevamo che non avrebbe cambiato nulla, infatti continuano le privatizzazioni dell’acqua pubblica. Allora l’obbiettivo era davvero un altro che inconsciamente tutti cullavamo.

Il referendum per cui eravamo chiamati a votare era un altro ed era tra due blocchi sociali contrapposti una vera e propria conta su cui Renzi ha ricevuto un messaggio, forte e chiaro (ci rivediamo in autunno). Il primo è il blocco sociale fatto dal PD con le forze Renziane e guerrafondaie, alleate alle Lobbies petrolifere e da quelle che governano il paese, i cui alleati sono in Europa e, qui in Italia, anche dalla CGIL. Questo blocco poteva contare su 11.000.000 di persone che alle ultime elezioni hanno votato PD e Alfano.

Dall’altra parte un altro blocco sociale, composito e su cui bisognerebbe fare inchiesta per capire meglio la sua natura e in quali settori della società oggi è presente. È quindi imprescindibile oggi impegnare ed intervenire con tutte le nostre forze dandogli strumenti di organizzazione. Questo secondo Blocco Sociale ha dato quasi 16 milioni di segnali, urlando forte di esserci, ed è a questo blocco sociale che dobbiamo iniziare a guardare con interesse, perché è il nostro. Ha nuove modalità d’intervento e noi per lavorarci insieme abbiamo bisogno di imparare a mutare, senza però perdere mai la nostra identità. Ha un’organizzazione a tratti bizzarra, con bisogni diversi, e non possiamo pensare sempre con le stesse categorie politiche e d’intervento. Questo Blocco Sociale muta sempre, parla sicuramente il linguaggio della precarietà lavorativa e della vita, quello delle periferie e dei luoghi di lavoro, a volte contrappone battaglie a km zero (discariche, battaglie contro la chiusura di un ospedale o per avere mezzi pubblici) altre di carattere nazionale o internazionale (guerra, Europa) purtroppo mai ricompositive (è questo il nostro compito?).

I bisogni li conosciamo tutti, sono vecchi e nuovi, vanno da quello del lavoro a quello della casa, dall’ambiente alla difesa dei beni comuni, alla critica al modo di produrre e di mangiare, parla di energie rinnovabili e di beni comuni da difendere, parte dal bisogno di spazi di socialità e di democrazia diretta, fino a nuovi bisogni quali il rinnovo del permesso di soggiorno, la possibilità di avere terre da coltivare, chiede di poter conoscere la provenienza di ciò che mangia e mette in discussione le produzioni inquinanti e di morte, chiede il reddito sociale minimo, è un blocco Sociale che vive sulla propria pelle le politiche di guerra e di austerità imposte dalle lobbies che governano il pianeta. Un Blocco Sociale che non si riconosce più nelle vecchie forme di organizzazione politica partitica della sinistra nostrana, anche se qualcuno ancora milita in segmenti partitici della vecchia sinistra residuale (non perché non ci sia bisogno di un partito ma perché costoro sono più orfani del partito che convinti della sua necessità di trasformazione) in questo paese non ci siamo ancora liberati del vecchio ceto politico incapace di guardare alla trasformazione e al cambiamento, anche se tutti sanno e predicano che è necessario.

Potrei fare l’esempio di Milano dove alle politiche di Pisapia ieri e di Sala o Parisi di domani non si è stati capaci di contrappone un nuovo modello di intervento politico, un lavoro politico che in questi anni producesse cambiamento ed attrazione, un lavoro che costruisse una piattaforma condivisa delle lotte e dei nuovi bisogni della città e di chi la vive o ci vive. Dopo 4 anni di totale assenza e di frammentazioni (tra sinistra Italiana, Civatiani, Radicali, Ecologisti, coalizzati sociali, rifondati, Selleri vari e Partiti comunisti di varie estrazioni) con nessun intervento nella città, per mesi ci hanno massacrato i maroni con una lunghissima lista di nomi che si succedevano alla ruota della fortuna, dove ogni giorno un nome diverso veniva sbattuto sulle prime pagine come candidato a Sindaco. Alla fine la novità: il Buon compagno onnipresente Basilio Rizzo, che rappresenta da 34 anni in comune la sinistra, e mi chiedo: “dove sta la novità se non nell’autoconservazione di uno spazio sempre più piccolo di rappresentanza?” Milano non ha bisogno del custode del tempio. I milanesi avrebbero votato chiunque se questa sinistra fosse stata presente nei territori e nelle contraddizioni, avesse condotto battaglie nella e per la città, condividendo la piattaforma e i programma su cui votare e fare battaglie dal basso. Invece la proposta è l’autoconservazione, la predisposizione alla sconfitta e al massimo la bandierina da mettere in comune (siamo ancora vivi, barcollo ma non mollo). Per questo oggi guardiamo oltre e il 17 aprile ci da la possibilità di lanciare il cuore oltre lo steccato lasciandoci alle spalle una certa sinistra oramai inutile e lontana dalla classe oltre che incapace di rappresentarla.

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