Hugo Pratt è uno degli autori italiani di storie a fumetti (ma ha scritto anche romanzi) più conosciuto e amato non solo nel nostro Paese ma nel mondo intero. Non meno conosciuto e amato il suo personaggio preferito, quel Corto Maltese che fra un anno compirà cinquant’anni (la prima storia che lo vide protagonista, “La ballata del mare salato”, fu pubblicata nel 1967). Anticipando l’evento di un anno, Stefano Cristante (docente di sociologia della comunicazione all’Università di Lecce e grande appassionato di fumetti) ha appena pubblicato un saggio (“Corto Maltese e la poetica dello straniero. L’atelier carismatico di Hugo Pratt”, Mimesis Editore) che ricostruisce – con straordinaria ricchezza di notizie, analisi critiche e riferimenti letterari e filosofici – vita, morte e miracoli del personaggio e dell’autore.
Nato a Rimini nel 1927 e morto a Losanna nel 1995, Pratt ebbe una vita avventurosa quasi quanto la sua creatura. Rientrato con la madre in Italia (a Venezia) nel 1943, dopo avere passato parte dell’infanzia e dell’adolescenza in Etiopia (dove il padre, ufficiale dell’esercito italiano, morì in un campo di prigionia inglese), lo scrittore inizia giovanissimo la carriera di fumettaro alternando il lavoro a frequenti viaggi per mare (si arruola più volte come mozzo) per poi trasferirsi (nel 1949) a Buenos Aires, dove lavorerà e vivrà per tredici anni prima di rientrare in Italia. Cristante ne segue passo per passo la produzione, in cui si riconoscono le influenze letterarie di autori come London, Kipling, Stevenson e Conrad (oltre a quelle di una congerie di letture storiche, filosofiche e antropologiche), individuando in una serie di personaggi gli “antenati” di Corto Maltese che, come anticipato, vedrà la luce nel 1967.
Esaurita l’analisi dei “prequel”, il lavoro di Cristante entra nel vivo, tracciando un ritratto a tutto tondo del nostro eroe (o piuttosto antieroe). Corto si presenta fin dall’inizio come un paradossale miscuglio di caratteri: un po' pirata (non caso amico/nemico di Rasputin, pittoresco farabutto cui Pratt ha dato le sembianze del famoso monaco e una complessa personalità dai tratti dostoevskiani), un po’ gentiluomo, un po’ dandy, con quella sua eleganza stilizzata che il tratto sintetico dell’autore esalta. A tale proposito, Cristante richiama giustamente l’attenzione su un disegno che sfuma spesso in silhouette, costringendo il lettore a ricostruire ciò che il segno accenna (non senza concedersi alcune riflessioni sulla specificità del fumetto come medium “freddo”, secondo la lezione di McLuhan).
Ma il contributo più interessante del saggio consiste, a mio avviso, nel mettere a fuoco la “poetica dello straniero” che s’incarna nelle storie di Hugo/Corto: Corto è lo straniero per antonomasia, l’avventuriero che attraversa scenari esotici in cui riesce sempre a muoversi a proprio agio senza farsene tuttavia integrare; di più: è straniero in un mondo di stranieri, diverso fra i diversi, sempre circondato da caratteri non meno “fuori luogo” di lui, come le donne misteriose, seduttive e ingannatrici con cui si incontra senza mai arrivare a consumare un rapporto erotico (la cifra del personaggio è una strana forma di castità in cui il gioco della seduzione soppianta il gioco dell’amore). Infine Corto è un avatar di Hermes, il dio fanciullo, il trickster divino che abita gli intermondi favorendone gli scambi reciproci ma senza mai lasciarsene catturare. È, quindi, portatore di saperi arcani ed esoterici (e infatti Cristante non manca di sottolineare come, con il passare del tempo, le storie di Pratt si siano venute caricando di allusioni alle tradizioni esoteriche islamiche, ebraiche e gnostiche).
Insomma: un personaggio per fumettari colti (pur se non mancava di sedurre il lettore comune) e, aggiungerei, un personaggio caro ai reduci disincantati ma non rassegnati degli anni Sessanta e Settanta: basti pensare a una storia come “Corte sconta detta arcana”, che si svolge ai confini fra Siberia e Manciuria, fra Guardie Bianche nostalgiche dello zarismo, signori della guerra cinesi e rivoluzionari mongoli alleati dei bolscevichi, nella quale Corto sembra a volte evocare l’ex rivoluzionario irlandese coprotagonista di un famoso film di Sergio Leone, “Giù la testa coglione”, amico di banditi e ormai lontano da furori ideologici eppure pronto a rischiare la pelle a fianco dei rivoluzionari messicani.
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