di Michele Giorgio – il Manifesto
«Israele ha
commesso crimini contro di noi prima (della scelta) di Lieberman e
continuerà a compierli dopo che Lieberman sarà nominato ufficialmente
ministro». Allarga le braccia Xavier Abu Eid, il portavoce dell’Olp, commentando il passo fatto dal premier
israeliano Netanyahu che, qualche giorno fa, ha sostituito alla guida
del ministero della difesa il suo compagno di partito (Likud) Moshe
Yaalon con Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beitenu e figura di primo
piano della destra più estrema, quella che, tra le altre cose, invoca
apertamente il “transfer”, ossia l’espulsione degli arabo israeliani, i
palestinesi cittadini di Israele. «Tuttavia», aggiunge il
portavoce dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp,
che formalmente rappresenta tutti i palestinesi), «la decisione di
Netanyahu di nominare un personaggio come Lieberman, un colono, al
ministero che gestisce l’occupazione militare dei nostri territori è un
segnale preciso inviato ai palestinesi e alla comunità internazionale.
Netanyahu – prosegue Abu Eid – ci sta ribadendo che non ha alcuna
intenzione di andare a un accordo politico e che vuole continuare a
costruire colonie ebraiche nelle terre occupate nel 1967».
L’arrivo di Lieberman, ormai certo, al ministero della difesa
israeliano è da alcuni giorni al centro delle discussioni ai vertici
della politica nella Cisgiordania amministrata (solo in parte) dal
governo dell’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen e
nella Striscia di Gaza controllata dal movimento islamico Hamas.
I propositi bellicosi manifestati in questi ultimi due-tre anni dal
futuro ministro israeliano contro l’Anp e Hamas sono ben presenti a
tutti i palestinesi, di ogni colore politico. E in queste ore si
rincorrono voci di una presunta intenzione di Abu Mazen di procedere con
maggiore determinazione sul binario multilaterale piuttosto che su
quello bilaterale, il negoziato diretto con Israele, per arrivare alla
nascita dello Stato di Palestina in Cisgiordania e Gaza, con capitale
Gerusalemme Est. Per questo a Ramallah punterebbero, persino più di
prima, sull’incontro internazionale (osteggiato da Israele) sulla
questione israelo-palestinese che si dovrebbe tenere il 3 giugno in
Francia.
Xavier Abu Eid non si sbilancia. «Questi sforzi sui tavoli della
diplomazia e delle grandi istituzioni internazionali, come le Nazioni
Unite, vanno avanti da anni e procederanno in ogni caso» spiega il
portavoce dell’Olp ricordando che la Palestina è stata
riconosciuta come Paese non membro dell’Assemblea dell’Onu, fa parte
della Corte Penale Internazionale, dell’Unesco e ha già firmato decine
di trattati. Resta vago anche sulla spinta, invocata da molti
palestinesi, alle denunce per crimini di guerra contro Israele che l’Olp
aveva proclamato di voler presentare alla Corte Penale Internazionale.
Secondo l’analista Diana Buttu, esperta di diritto internazionale, la
scelta di Lieberman come ministro della difesa di Israele «non porterà i
palestinesi ad accentuare le iniziative avviate o annunciate a livello
internazionale per ottenere il riconoscimento pieno, anche sul terreno,
dello Stato di Palestina». L’Olp e l’Anp, prevede Buttu, «non
si impegneranno, come invece dovrebbero, per accentuare l’isolamento
internazionale in cui il governo israeliano si sta chiudendo a causa
delle sue politiche e della sua composizione. Piuttosto – prosegue –
continueranno a credere nelle possibilità dell’incontro in Francia
mentre la popolazione palestinese è stanca di proposte, incontri,
accordi e via dicendo che non hanno cambiato nulla in 25 anni di
negoziati veri e presunti».
A Gaza si vive un’atmosfera particolare dopo l’annuncio della
prossima nomina di Lieberman. «La popolazione civile è rassegnata da
tempo – dice Sami Ajrami, un giornalista – sa che una nuova guerra con
Israele è alle porte con o senza Lieberman ed è più concentrata sui
problemi della vita quotidiana: la mancanza di lavoro, la
povertà, le distruzioni della guerra del 2014, la poca elettricità
disponibile e la scarsa acqua potabile». Il vertice di Hamas da
parte sua ha preso molto sul serio la scelta di Lieberman che in più di
una occasione ha chiesto la rioccupazione totale di Gaza e di abbattere
con la forza delle armi il movimento islamico. «I leader di
Hamas e di Ezzedin al Qassam (l’ala militare) si stanno preparando a un
nuovo scontro militare con Israele anche se non credono che sia
imminente», afferma Ajrami. Venerdì uno dei fondatori di Hamas, Mahmoud
Zahar, ha sfidato Lieberman a mettere in atto i suoi propositi e ha
assicurato che le forze di Hamas sono pronte al conflitto con Israele.
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