di Roberto Prinzi
Kamikaze dell’autoproclamato Stato Islamico (Is) sono tornati nuovamente in azione nella città di Aden, nel sud dello Yemen. Il bilancio, provvisorio, parla al momento di 45 persone morte e di decine di feriti. Le esplosioni sono avvenute stamattina nel distretto di Khor Maksar vicino al porto. Secondo le prime ricostruzioni, le
vittime erano reclute che erano in fila in attesa di essere arruolate
nell’esercito governativo. Fonti locali raccontano che un primo
attentatore suicida si sarebbe fatto esplodere vicino al centro di
reclutamento uccidendo 20 persone. L’altro, invece, vicino ad un altro
gruppo di aspiranti militari fuori la casa di un comandante militare.
Il sanguinoso conflitto tra governo yemenita (sostenuto da una
coalizione sunnita a guida saudita, da varie tribù sunnite e dagli
indipendentisti del sud) e i ribelli sciiti houthi (appoggiati dall’ex
presidente Saleh e, anche se non ufficialmente, dall’Iran) ha provocato
almeno 6.400 morti, di cui 3.000 sono civili. Nel caos politico che si è
venuto a creare (la capitale Sana’a è ancora in mano agli houthi),
forze jihadiste come lo Stato Islamico e al-Qa’eda nella Penisola
arabica (Aqap) ne hanno approfittato guadagnando terreno. Soprattutto
nella regione del sud est, dove Aqap è riuscita ad occupare quasi
interamente la regione dell’Hadramawt. Ma se al-Qa’eda era già ben
radicata nel Paese e ha solo consolidato la sua forza in questi 14 mesi
di guerra, è stato lo Stato Islamico a fare passi da gigante: nel 2014
ha annunciato la nascita di un’altra sua “provincia” dopo quelle
egiziana e libica. Il “califfato” è balzato tristemente alle
cronache per i vari attentati compiuti nel Paese: i suoi target sono
stati principalmente le moschee di Sana’a frequentate dagli sciiti.
Ma a preoccupare non sono solo gli attentati provocati dal
jihadismo. Amnesty International (AI) ieri ha infatti accusato la
coalizione sunnita a guida saudita di aver bombardato le aree
settentrionali del Paese anche con le cluster bomb (le bombe a grappolo)
il cui uso è vietato dalla legge internazionale. Il loro utilizzo, scrive la ong inglese, avrebbe trasformato le aree colpite in un “campo minato per i civili”.
L’associazione per i diritti umani ha sottolineato come a pagare il
prezzo più alto siano stati i bambini (molti dei quali, sostiene AI,
sarebbero stati “uccisi o menomati”) e ha invitato la comunità
internazionale a “bonificare” queste aree. “Nazioni influenti dovrebbero
chiedere alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita di smetterla di
usare le cluster bomb che sono internazionalmente vietate e che, per
natura, colpiscono in modo indiscriminato” ha scritto l’organizzazione
in un comunicato. Non è ottimista la consigliera di Amnesty per la
gestione delle crisi, Lama Fakih. “Anche quando le ostilità cesseranno –
ha detto – le vite dei civili, anche dei bambini, continueranno ad
essere a rischio non appena ritorneranno a questi campi minati de
facto”.
Amnesty sostiene che durante le sue recenti missioni nel nord del
Paese ha trovato residui di munizioni a grappolo di fabbricazione
brasiliana, britannica e statunitense utilizzate dalla coalizione
sunnita guidata. Secondo AI, tra il luglio del 2015 e lo scorso aprile,
sono stati registrati almeno 10 casi in cui 16 civili sono stati uccisi o
feriti per l’esplosione di questi ordigni.
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