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31/05/2016

#Femminicidio: non c’entra né l’amore né la “gelosia”

Sara di Pietrantonio, l’ultima vittima di femminicidio, è stata uccisa dall’ex fidanzato. Alla fine lui ha confessato dicendo che le ha dato fuoco quand’era ancora viva. L’ha messa al rogo e ha lasciato un corpo bruciato dove prima c’era una ragazza che stava per tornare a casa. Dell’ex fidanzato dicono – i conoscenti di lei – che la perseguitasse e che non aveva gradito di essere stato lasciato. Un No è difficile da digerire per uno che vuole solo imporre potere, controllo, che è interprete della cultura del possesso. Qualcuno lo ha descritto come un individuo “geloso” e già sui media inizia il processo alla vittima con chi afferma che lei avrebbe intrapreso un’altra storia.

C’è poi una serie di titoli, frasi, commenti che, sui media, rinviano ancora ad una figura bisognosa. Qualcuno parla di “amore” non corrisposto o di “troppo amore”, che poi è la balla di sempre usata per giustificare un delitto di questo tipo. C’è chi si chiede perché lei non avesse denunciato, dato che lui viene descritto come uno stalker che l’aveva costretta a cambiare abitudini, a rinunciare a incontrarsi con gli amici all’Eur. Ma tutto questo gioco del rimpallare responsabilità, continuando ad analizzare i perché si o no lei non ha fatto o ha fatto questo e quello, non fa altro che spostare l’attenzione sulla vittima. E non si tratta di una attenzione buona, ma di un processo.

Altre donne avevano denunciato, perfino più di una volta, ma sono state uccise lo stesso. Altre avevano usato amici e parenti a farle da cordone protettivo, e lui è arrivato comunque. Ed è sbagliato immaginare che chi commette questo tipo di delitti sia un mostro. Non lo è. Dirlo significa non guardare accanto a noi, nei nostri contesti, tra le persone che conosciamo, normalissime, uomini e donne, che a volte giustificano uno stupro, altre volte chiamano troia una ragazza in shorts, o ancora trovano divertente fare battute sessiste, dimenticando che una donna ha il diritto di dire No, di scegliere per sé, e che la reazione autoritaria di chi impone scelte diverse risponde a una mentalità che fino a poco tempo fa aveva una sua giustificazione nel delitto d’onore.

La legge che lo consentiva non esiste più ma esiste ancora la cultura che stava dietro a quella legge. Esiste ancora chi parla di gelosia, di amore, di un uomo bisognoso e fragile che aveva bisogno di pietà. E per quanto un uomo sia disperato perché la ragazza l’ha lasciato, quando quella disperazione diventa giustificazione per un delitto si tratta di un orrendo atto di egoismo: mia o di nessun altro. Mia o di nessun altro. Questo è possesso, è la convinzione che una donna sia di esclusiva proprietà dell’uomo che dice di amarla.  E’ l’incapacità di vedere una donna come altro da se’. Questa è violenza di genere, per il ruolo di genere che viene imposto ad una donna quando si crede che lei, in quanto donna, dovrà essere fedele, a soddisfare le voglie di un uomo che non sa accettare un No come risposta.
Due consigli, mai ripetuti abbastanza:
  • quando lei ti lascia, se hai tu bisogno di uno psicologo per elaborare il tuo lutto, vai dallo psicologo e allontana ogni pensiero violento. Perché non è il lutto che ti porta alla violenza ma è la violenza che è radicata in te e che rinnova l’alibi in quello che pensi sia uno sgarbo fatto a te. Tutto inizia e finisce con il tuo ego. E lei? Se dici di amarla e non riesci a vederne i desideri e le libere scelte allora non la ami. Sei solo uno stronzo egocentrico che deve crescere. Solo questo.
  • quando tu lo lasci, non accettare di vederlo per l’ultima volta, non ti fermare se ti segue, non immaginare di poterlo controllare, di poter evitare gravi conseguenze, perché non hai alcun potere su di lui, non puoi convincerlo ad accettare la tua decisione e non restare da sola. So che è ingiusto che tu debba proteggerti e cambiare vita mentre lui va in giro indisturbato, ma credimi: salvati la vita, non fidarti mai, non scendere neppure sottocasa, con i tuoi che stanno dentro, per farlo smettere di fare casino. E questo non vuol dire che se succede qualcosa è colpa tua, perché un potenziale assassino è imprevedibile, ma ricorda che verrà da te con l’aria da cane bastonato, a chiederti di tornare da lui, e quando gli dirai di no lui potrebbe ucciderti. Mettilo in conto.
Quello che dico sempre è che serve un modo per prevenire questi delitti “aiutando” gli stalkers, predisponendo servizi che li allontanino dai loro propositi e tutelando la vita delle donne che altrimenti saranno vittime di femminicidio. Non serve un’azione repressiva che agisca dopo la morte di una donna, perché lei è e rimarrà morta, per quanti anni di prigione possano essere imposti al suo assassino. Serve un’azione preventiva che punti sulla cultura, sull’educazione al rispetto dei generi nelle scuole, su servizi che mettano in atto un piano antiviolenza che tenga conto di tutto e che non si basi sul vuoto marketing istituzionale che ministri e governi fanno per guadagnare consenso senza poi riuscire a migliorare le cose. Il femminicidio trattato come un brand, per vendere la propria immagine o quella di un governo, senza tenere conto di quello che è la violenza di genere, di quanto sia radicata la mentalità sessista in ogni spazio che frequentiamo, resta solo una parola vuota, incomprensibile, perfino non utile. Pensateci. Pensiamoci.

Ps: leggo che la ragazza aveva chiesto aiuto alle macchine di passaggio e nessuno si è fermato. Se questa cosa è vera poi non chiediamoci perché serve combattere contro una cultura che coinvolge troppe persone, incluse quelle che pensano che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.

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