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24/05/2016

Netanyahu rifiuta proposta francese e chiede negoziati diretti

di Roberto Prinzi

Un no secco all’iniziativa di pace francese per risolvere il conflitto israelo-palestinese. E’ quanto ha ripetuto ieri al premier transalpino Manuel Valls il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Secondo il capo di governo israeliano, l’unica soluzione può passare solo attraverso “negoziati diretti” con la leadership palestinese senza però – ha precisato – che quest’ultima imponga delle precondizioni.

“La pace – ha detto Netanyahu – non si raggiunge con delle conferenze internazionali come quelle dell’Onu. Né si ottiene attraverso diktat internazionali o con comitati dei paesi del mondo che si siedono e cercano di decidere il nostro destino e la nostra sicurezza”. Poi, rivolgendosi direttamente a Valls, ha aggiunto: “Hai ragione quando dici che i negoziati diretti sono molto difficili ora. Ma sono l’unica strada da percorrere per raggiungere la pace”. Da qui la richiesta a Parigi di “incoraggiare [il presidente palestinese] Abbas ad accettare quest’altra iniziativa francese: negoziati diretti senza precondizioni tra Ramallah e Tel Aviv a Parigi”. “Potrà essere ancora chiamata iniziativa francese perché voi ospiterete questo sincero sforzo per la pacificazione. Ma c’è una differenza però [con quello che ora proponete], io mi siederò direttamente con il presidente Abbas all’Eliseo o dovunque vogliate. Saranno messe sul tavolo [dei negoziati] tutte le questioni complesse”. In realtà, anche gli incontri di cui si fa promotore avranno una precondizione: quella di “due stati per due popoli, uno stato palestinese demilitarizzato che riconosca lo stato ebraico [Israele]”.

Valls è in visita in Israele e nei Territori occupati palestinesi nel tentativo di promuovere l’azione diplomatica francese. Dopo aver incontrato la parte israeliana, oggi si recherà a Ramallah per incontrare il primo ministro palestinese Rami Hamdallah. Il presidente Abbas ha più volte detto di vedere con favore l’iniziativa di Parigi che prevede un vertice con i ministri degli esteri il 3 giugno prossimo senza, è indicato esplicitamente, che vi prendano parte israeliani e palestinesi. Secondo la road map presentata dalla Francia, infatti, la loro presenza sarà necessaria nella conferenza di autunno quando si darà il via ufficialmente ai negoziati di pace in stallo dall’aprile del 2014. Valls ha provato a tranquillizzare gli israeliani (“Parigi non imporrà una soluzione”), ma ha tuttavia criticato la costruzione degli insediamenti in Cisgiordania definiti come uno dei principali ostacoli alla pace.

E’ proprio il senso di frustrazione per la mancanza di futuro e per l’incessante occupazione di terra palestinese da parte di Tel Aviv ad aver dato il via, all’inizio di ottobre, ai ripetuti attacchi palestinesi contro obiettivi israeliani (per lo più soldati). Una violenza non cieca come scrivono alcuni commentatori né tanto meno, come afferma propagandisticamente Israele, frutto dell’incitamento dei leader e dei media “arabi”, ma che è conseguenza di una condizione umana resa insostenibile dallo stato ebraico. Una violenza (presunta in alcuni casi) che, finora, ha causato la morte di oltre 200 palestinesi e di 28 israeliani. L’ultimo episodio è avvenuto ieri quando una giovane donna – secondo la versione israeliana – è stata “neutralizzata” dai militari di Tel Aviv dopo aver tentato di accoltellare una poliziotta di frontiera al checkpoint di Biddu, nella parte settentrionale di Gerusalemme. La vittima, Sawsan Ali Dawud Mansour, è stata colpita dalla raffica dei proiettili morendo sul colpo. Aveva solo 17 anni.

Ma Netanyahu ha anche un’altra grana di cui occuparsi oltre a quella francese. L’ingresso dello xenofobo Lieberman di Yisrael Beitenu nella coalizione governativa annunciato la scorsa settimana è ancora lungi dal concretizzarsi. Nonostante il non facile grattacapo da risolvere, il premier ha ostentato sicurezza di fronte alle telecamere e ha promesso che la faccenda sarà risolta presto. Meno sicuro, ma forse solo per fini politici, è sembrato proprio il diretto interessato, Avigdor Lieberman, il quale, nel descrivere ai media lo stato delle trattative in corso, ha parlato di “punto morto”. Il leader di Yisrael Beitenu, che dovrebbe essere nominato a capo del dicastero della difesa, ha reso noto di aver accantonato (almeno per il momento) l’idea della pena di morte ai “terroristi” (solo quelli palestinesi, sia chiaro) come sua condizione per entrare nella squadra governativa.

L’attenzione di Lieberman si è ora spostata principalmente sulla riforma delle pensioni: dare delle agevolazioni ai cittadini provenienti dai paesi dell’ex blocco sovietico che costituiscono lo zoccolo duro del suo elettorato. Di parere contrario è il ministro delle finanze del più moderato Kulenu, Moshe Kahlon, che invece propone una riforma “per tutti i cittadini dello stato d’Israele”. “La nostra idea – ha dichiarato – è quella di non discriminare nessuno, non vuole essere settoriale, ma è destinata a tutti gli elettori”.

Netanyahu ha smorzato i toni della polemica interna cercando di allontanare future ombre sul suo prossimo governo che, con Lieberman, potrà contare di una maggioranza di 7 seggi e non più su uno come ora. “I negoziati hanno alti e bassi, ci sono sempre crisi ed esplosioni e tutto sembra per collassare, ma ciò non accadrà”.

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