di Roberto Prinzi
Un no secco all’iniziativa di pace francese per risolvere il conflitto israelo-palestinese. E’ quanto ha ripetuto ieri al premier transalpino Manuel Valls il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Secondo il capo di governo israeliano, l’unica soluzione può passare
solo attraverso “negoziati diretti” con la leadership palestinese senza
però – ha precisato – che quest’ultima imponga delle precondizioni.
“La pace – ha detto Netanyahu – non si raggiunge con delle conferenze internazionali come quelle dell’Onu.
Né si ottiene attraverso diktat internazionali o con comitati dei paesi
del mondo che si siedono e cercano di decidere il nostro destino e la
nostra sicurezza”. Poi, rivolgendosi direttamente a Valls, ha aggiunto:
“Hai ragione quando dici che i negoziati diretti sono molto difficili
ora. Ma sono l’unica strada da percorrere per raggiungere la pace”. Da
qui la richiesta a Parigi di “incoraggiare [il presidente palestinese]
Abbas ad accettare quest’altra iniziativa francese: negoziati diretti
senza precondizioni tra Ramallah e Tel Aviv a Parigi”. “Potrà
essere ancora chiamata iniziativa francese perché voi ospiterete questo
sincero sforzo per la pacificazione. Ma c’è una differenza però [con
quello che ora proponete], io mi siederò direttamente con il presidente
Abbas all’Eliseo o dovunque vogliate. Saranno messe sul tavolo [dei
negoziati] tutte le questioni complesse”. In realtà, anche gli incontri
di cui si fa promotore avranno una precondizione: quella di “due stati
per due popoli, uno stato palestinese demilitarizzato che riconosca lo
stato ebraico [Israele]”.
Valls è in visita in Israele e nei Territori occupati palestinesi nel
tentativo di promuovere l’azione diplomatica francese. Dopo aver
incontrato la parte israeliana, oggi si recherà a Ramallah per
incontrare il primo ministro palestinese Rami Hamdallah. Il
presidente Abbas ha più volte detto di vedere con favore l’iniziativa di
Parigi che prevede un vertice con i ministri degli esteri il 3 giugno
prossimo senza, è indicato esplicitamente, che vi prendano parte
israeliani e palestinesi. Secondo la road map presentata dalla
Francia, infatti, la loro presenza sarà necessaria nella conferenza di
autunno quando si darà il via ufficialmente ai negoziati di pace in
stallo dall’aprile del 2014. Valls ha provato a tranquillizzare gli
israeliani (“Parigi non imporrà una soluzione”), ma ha tuttavia
criticato la costruzione degli insediamenti in Cisgiordania definiti
come uno dei principali ostacoli alla pace.
E’ proprio il senso di frustrazione per la mancanza di futuro e per
l’incessante occupazione di terra palestinese da parte di Tel Aviv ad
aver dato il via, all’inizio di ottobre, ai ripetuti attacchi
palestinesi contro obiettivi israeliani (per lo più soldati). Una
violenza non cieca come scrivono alcuni commentatori né tanto meno, come
afferma propagandisticamente Israele, frutto dell’incitamento dei
leader e dei media “arabi”, ma che è conseguenza di una condizione umana
resa insostenibile dallo stato ebraico. Una violenza (presunta in
alcuni casi) che, finora, ha causato la morte di oltre 200 palestinesi e
di 28 israeliani. L’ultimo episodio è avvenuto ieri quando una giovane
donna – secondo la versione israeliana – è stata “neutralizzata” dai
militari di Tel Aviv dopo aver tentato di accoltellare una poliziotta di
frontiera al checkpoint di Biddu, nella parte settentrionale di
Gerusalemme. La vittima, Sawsan Ali Dawud Mansour, è stata colpita dalla
raffica dei proiettili morendo sul colpo. Aveva solo 17 anni.
Ma Netanyahu ha anche un’altra grana di cui occuparsi oltre a
quella francese. L’ingresso dello xenofobo Lieberman di Yisrael Beitenu
nella coalizione governativa annunciato la scorsa settimana è ancora
lungi dal concretizzarsi. Nonostante il non facile grattacapo
da risolvere, il premier ha ostentato sicurezza di fronte alle
telecamere e ha promesso che la faccenda sarà risolta presto. Meno
sicuro, ma forse solo per fini politici, è sembrato proprio il diretto
interessato, Avigdor Lieberman, il quale, nel descrivere ai media lo stato delle trattative in corso, ha parlato di “punto morto”.
Il leader di Yisrael Beitenu, che dovrebbe essere nominato a capo del
dicastero della difesa, ha reso noto di aver accantonato (almeno per il
momento) l’idea della pena di morte ai “terroristi” (solo quelli
palestinesi, sia chiaro) come sua condizione per entrare nella squadra
governativa.
L’attenzione di Lieberman si è ora spostata principalmente
sulla riforma delle pensioni: dare delle agevolazioni ai cittadini
provenienti dai paesi dell’ex blocco sovietico che costituiscono lo
zoccolo duro del suo elettorato. Di parere contrario è
il ministro delle finanze del più moderato Kulenu, Moshe Kahlon, che
invece propone una riforma “per tutti i cittadini dello stato
d’Israele”. “La nostra idea – ha dichiarato – è quella di non
discriminare nessuno, non vuole essere settoriale, ma è destinata a
tutti gli elettori”.
Netanyahu ha smorzato i toni della polemica interna cercando di
allontanare future ombre sul suo prossimo governo che, con Lieberman,
potrà contare di una maggioranza di 7 seggi e non più su uno come ora.
“I negoziati hanno alti e bassi, ci sono sempre crisi ed esplosioni e
tutto sembra per collassare, ma ciò non accadrà”.
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