La Confindustria, per bocca del suo neo presidente Boccia si è apertamente schierata per il Si alla riforma
della Costituzione, in particolare per quel che attiene l’eliminazione
del bicameralismo perfetto causa della lentezza decisionale del
Parlamento e supporto agli ostruzionismi di minoranza.
Una presa di
posizione perfetta che si allinea pienamente alla filosofia della
riforma renziana e ne rende manifesta la natura di classe. Per il
padronato, soprattutto in un momento di crisi, serve un centro
decisionale perfettamente funzionale alle strategie del sistema
economico internazionale e che non abbia l’intralcio della discussione
democratica.
Ogni possibile battaglia di opposizione è
solo fastidioso ostruzionismo e la centrale del padronato italiano
vuole avere un solo interlocutore istituzionale omogeneo ai suoi
interessi. E il Parlamento, in questo contesto, non serve più a molto.
Per chi avesse qualche dubbio sul senso
del “decisionismo” renziano (decisionismo: non vi ricorda niente questa
parola?), direi che le parole di Boccia giungono opportune per dissipare
ogni perplessità. Ovviamente schierarsi dalla parte dei padroni è una
scelta perfettamente legittima, l’importante è sapere cosa si sta
facendo e scegliere consapevolmente.
Detto questo, si pone un problema: ma se questa è la posizione dell’organizzazione padronale, quale è (o dovrebbe essere) la posizione delle organizzazioni dei lavoratori?
E, tanto per essere espliciti, cosa pensa la Cgil? Come è noto il
maggiore dei sindacati italiani ospita molti funzionari iscritti al Pd,
per cui si pone un problema di autonomia sindacale particolarmente
stringente nel suo caso.
In questo ultimo quarto di secolo ci
sono stati parecchi referendum su questioni come la legge elettorale o
disposizioni costituzionali (1991, 1993, 1995, 1999, 2001, 2006) in
occasione dei quali la Cgil se l’è cavata con la scelta del “pesce in
barile”, invocando il pretesto dell’estraneità del sindacato a questi
temi (con quale risultato, sul piano della stessa funzione del sindacato
nel sistema, possiamo oggi contemplare). In realtà era solo un modo per
evitare diatribe fra le correnti interne o per seguire il partito-guida
(Pci prima, poi Pds, Ds e Pd) senza dare troppo nell’occhio, il tutto
giustificato da una sorta di ipocrita neutralità del sindacato rispetto
alle questioni istituzionali che entrerebbero nel campo delle competizioni interpartitiche.
Ebbene questo comodo alibi è caduto ad
opera della dichiarazione di Boccia: se l’organizzazione di categoria
degli imprenditori prende posizione sul referendum, non si vede perché
non debba farlo l’organizzazione dei lavoratori. Non stiamo parlando del
colore delle auto ministeriali o dell’aumento di un punto dell’Iva, ma
della qualità della democrazia nel futuro del nostro paese, non è
possibile essere neutrali o far finta di nulla.
La Camusso ha avuto
toni molto duri con il governo il 1° maggio, ora è il momento di trarre
le conclusioni e capire che atti come il jobs act e riforma
costituzionale non sono atti slegati ma che appartengono ad una stessa
logica.
Maurizio Landini un
anno fa ci ha promesso una coalizione sociale di cui, poi, abbiamo
sentito parlare assai poco, ma se quel progetto ancora esiste, che
coalizione sociale è quella che non si preoccupa degli assetti
costituzionali del paese? E lui, che è fra i più qualificati dirigenti
della Cgil, di cui si parla come del più papabile alla successione della
Camusso, non ritiene di porre la questione alla Cgil sollecitando una
pronuncia per il no?
Insomma, direi che sarebbe bene che
anche i semplici iscritti alla Cgil inizino a far sentire la loro voce
chiedendo una posizione inequivoca del loro sindacato.
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