Ci aspettano cinque mesi di fuoco. E’ bene esserne consapevoli. Mettendo i fila i passaggi fin qui prevedibili, se ne ricavano scenari da cui i movimenti politici e popolari che spingono per il cambiamento di segno quantomeno progressista, possono acquisire punti di forza o gestire le possibili battute d’arresto. Proviamo ad analizzare i passaggi che ci attendono.
1) Tra il 5 e il 20 giugno ci sono elezioni nelle più importanti aree metropolitane del paese. Il progetto di governance autoritaria del PD di Renzi rischia forte in alcune di esse, in particolare a Napoli e Roma. Ha poche chance a Milano, se la deve giocare a Bologna, ha meno problemi a Torino. E’ evidente come la sconfitta del progetto piddino/renziano a Roma e Napoli non può che essere l’obiettivo su cui convergere. Le forze in grado di declinarlo nelle urne sono De Magistris a Napoli e il M5S a Roma. A Napoli le cose sono più chiare. A Roma, se fino al primo turno sarà comprensibile esprimersi in coerenza con le proprie identità – sia con il non voto che con un voto mirato – al ballottaggio non si possono fare prigionieri: i candidati del Pd (o eventualmente quelli neofascisti) devono uscire sconfitti dalle urne, il Pd oggi è il nemico da battere. Quindi, anche se esprimono soggettività, potenzialità e progetti diversi tra loro, sostegno a De Magistris e alla Raggi.
2) Se le due maggiori aree metropolitane nel nostro paese – Napoli e Roma – rompono con il progetto di governance autoritaria di Renzi, potrebbe determinarsi uno scenario che contiene grandi potenzialità politiche. Ad esempio sul piano dello stop alle privatizzazioni dei servizi pubblici locali al centro del Testo Unico del governo (riforma Madia) e dei diktat della Commissione Europea, sullo stop al ricatto del debito, sul reddito sociale per i disoccupati. Due amministrazioni locali di grandi aree metropolitane che si mettono di traverso al governo, aprono la strada ad una possibile alleanza “politica” tra movimenti sociali, sindacali, ambientali, democratici e governi locali di opposizione contro il progetto renziano ed europeo.
3) Tre giorni dopo i ballottaggi del 20 giugno, il 23 giugno, novità rilevanti potrebbero venire dall’esito del referendum sulla Brexit in Gran Bretagna. Se vince il si all’uscita dall’Unione Europea, l’obiettivo del referendum sui Trattati Europei e sulla fuoriuscita del nostro – Ital/Exit – e degli altri paesi socialmente massacrati dall’Unione Europea, ne trarrebbe una forza enorme sul piano politico e sociale. La Piattaforma Sociale Eurostop, ad esempio, ha inquadrato questo scenario molto meglio dei sostenitori di un “Piano B” già completamente depotenziato dalle sue aspettative più avanzate.
4) A giugno ci sono nuovamente le elezioni politiche in Spagna dopo sei mesi in cui non si è riusciti a costituire una coalizione di governo. La decisione di Izquierda Unida di dichiarare pubblicamente l’obiettivo dell’uscita dall’Unione Europea è un passo in avanti rilevante. Dovrà ovviamente trovare il modo di declinarlo nella coalizione con Podemos che invece su questo è molto più arretrato.
5) In Francia lo scontro sociale contro le “leggi sul lavoro” antisociali e la governance autoritaria che l’Unione Europea sta imponendo a tutti i paesi aderenti, indica una linea di resistenza di straordinaria importanza. I tempi, purtroppo, non sembrano ancora maturi per gli effetti-contagio. Non lo è stato per la Grecia dei momenti migliori, né con la Spagna degli Indignados. L’accumulazione delle forze antagoniste avviene ancora su base nazionale, ma è ovvio che tutto questo produce un senso comune di rottura e rivolta comune ai diversi paesi europei.
6) Infine ad ottobre c’è “la madre delle battaglie” con il referendum/plebiscito controcostituzionale voluto da Renzi. E’ evidente come nei prossimi mesi occorrerà lavorare pancia a terra, quartiere per quartiere, metro per metro, per mandare la gente a votare e votare NO e per mandare a casa Renzi. Per settembre e ottobre già si è cominciato a discutere di una mobilitazione nazionale per il No al referendum e contro Renzi, di uno sciopero generale che coniughi vertenze sindacali/sociali con la difesa della democrazia e dell’attivazione di una campagna capillare nel paese. Rimane ancora l’incognita della data del referendum di ottobre, che Renzi vorrebbe celebrare prima della decisione della Corte Costituzionale il 4 ottobre sulla ammissibilità del ricorso di incostituzionalità avanzato verso il nuovo sistema elettorale: l’Italicum. Un minor tempo a disposizione è un fattore che gioca a favore del governo che sta manipolando ampiamente le comunicazioni di massa.
Quali scenari si potrebbero aprire e con i quali fare i conti nei prossimi cinque mesi?
– Se Renzi va male alle elezioni nelle grandi città, la Corte Costituzionale accetta di discutere l’incostituzionalità dell’Italicum e il governo perde il referendum di ottobre, Renzi va a casa e si apre una fase completamente nuova e interessante.
– Se Renzi porta a casa la pelle nelle elezioni comunali e vince il SI al referendum/plebiscito di ottobre, le amministrazioni locali di Roma e Napoli diventerebbero il “ridotto” dal quale animare la resistenza politica, sociale e democratica in tutto o in parte del paese contro la governance autoritaria.
Si tratta dunque di due scenari che richiedono comunque una forte capacità di visione e azione politica di segno antagonista, di classe e democratico. Se si mette in campo una alleanza politica e sociale con qualche presidio istituzionale nelle città, intorno a obiettivi come il no alle privatizzazioni, la priorità del diritto al lavoro e all’abitazione, la democrazia partecipativa e l’uscita dall’Unione Europea e dall’euro come alternativa alla gabbia esistente, avremmo a disposizione un programma politico a tutto tondo con concrete possibilità di radicamento e rappresentanza politica del nostro blocco sociale di riferimento. Ma soprattutto potremmo riaprire – nuovamente e finalmente – la prospettiva della rottura per il cambiamento politico e sociale nel nostro paese e di poter influenzare gli altri a fare altrettanto.
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