Guerriglia urbana a Baghdad: ieri sera la capitale è stata teatro di
scontri durissimi tra manifestanti furiosi, per lo più legati al
movimento sadrista, e le forze di polizia irachene. Una violenza interna
che non si registrava da tempo e che si è conclusa con la dichiarazione
del coprifuoco sulla capitale e un morto.
La protesta è stata scatenata dagli ultimi brutali attacchi dello
Stato Islamico contro i quartieri sciiti di Baghdad (quasi 300 morti in
meno di una settimana), ma era stata già accesa nelle scorse settimane
dall’apatia del parlamento nel nominare un nuovo esecutivo tecnico. Ieri
l’apice: migliaia di persone, dopo la preghiera del venerdì,
hanno cercato di entrare nella Zona Verde, cuore della capitale,
fortificato dall’occupazione Usa e chiuso al resto della popolazione
perché sede delle ambasciate straniere e delle istituzioni governative.
Così dopo le scene dell’assalto al parlamento di tre settimane fa, ieri è successo lo stesso: la
polizia ha tentato di fermare i manifestanti sparando gas lacrimogeni,
proiettili di gomma e bombe sonore, per poi ricorrere ai cannoni ad
acqua. Secondo fonti locali sarebbero state utilizzate anche pallottole
vere: il bilancio dei feriti è incerto, c’è chi parla di 17, chi di 70.
Di sicuro c’è una vittima, uccisa negli scontri: le immagini
che venivano pubblicate ieri sui social network raccontavano le
violenze, sangue a terra, feriti, gas che inondavano le strade.
La forza popolare ha alla fine vinto i cordoni della polizia e i manifestanti sono entrati nella Zona Verde. Stavolta nel
mirino non c’era la sede del parlamento, ma l’ufficio del primo
ministro al-Abadi, accusato di debolezza e incapacità di portare avanti
le riforme anti-corruzione promesse da mesi. Un colpo duro
all’immagine di un primo ministro che, pur convinto della necessità di
agire, si è sempre fatto bloccare dall’ostruzionismo dei partiti
politici tradizionali.
L’arrivo di rinforzi della polizia ha alla fine costretto i
manifestanti alla ritirata, mentre il coprifuoco veniva imposto su
Baghdad. Nelle ore successive la situazione è tornata alla calma e il
coprifuoco è stato sospeso, ma la potenza di una simile azione non si
ferma qui. Perché alla base stanno richieste giuste guidate con
sapienza da un leader, il religioso sciita Moqtada al-Sadr, che
continua ad attirare verso di sé la fiducia sia della comunità sciita
che di sunniti ed ex-baathisti stanchi dei settarismi interni e delle
loro conseguenze, corruzione e discriminazione politica.
A ciò si aggiunge un elemento in più: la forza popolare è
affiancata da uomini armati, migliaia di miliziani delle Brigate della
Pace (l’ex Esercito del Mahdi di al-Sadr) già dispiegate nei giorni
scorsi a protezione dei quartieri sciiti della capitale dopo i più
recenti attacchi. Se le armi si solleveranno, il paese rischia una
guerra civile in un periodo di estrema instabilità, con un
terzo dell’Iraq occupato dallo Stato Islamico e il resto target di
attentati quasi quotidiani.
Nonostante ciò la politica non reagisce. Ciecamente, pur di
mantenere in piedi un sistema clientelare ramificato e tentacolare che
fa dell’Iraq uno dei paesi più corrotti al mondo, manda la nazione al
macello. Preferisce non attuare le riforme, non nominare un
nuovo governo, indebolire l’autorità già fragile di al-Abadi in un gioco
al massacro sempre più pericoloso.
Al-Sadr è stato chiaro quando ieri sera ha avvertito delle possibili
conseguenze se la rivolta popolare verrà bloccata con la violenza:
“Nessuno ha il diritto di impedire la protesta. Altrimenti, la
rivoluzione assumerà altre forme”. A poco servono quindi le minacce di
al-Abadi che, condannando l’assalto di ieri, ha promesso di perseguire i
responsabili con arresti e processi.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento