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28/05/2016

Soldati Usa con i curdi contro l’Isis, l’ira di Ankara

La Turchia ritiene “inaccettabile” che i soldati statunitensi impegnati nell’offensiva contro la capitale dell’Isis in Siria, Raqqa, indossino le divise con gli stemmi della milizia curda delle Unità di protezione del Popolo (Ypg). “E’ inaccettabile che un Paese alleato usi gli stemmi del Ypg. Ci ribelliamo a questo. Non possiamo accettarlo. Si usano due pesi e due misure, è un’ipocrisia”, ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.

Da parte sua il Pentagono ha risposto che in alcuni casi “le forze speciali fanno quello che possono per mescolarsi con la popolazione per la propria sicurezza” ma non ha commentato direttamente le foto diffuse dalla France Presse che ritraggono le forze speciali statunitensi arrivate ad appoggiare migliaia di combattenti delle Forze Democratiche Siriane – per lo più curdi ma anche assiri e arabi – che da alcuni giorni hanno lanciato l’attacco contro Raqqa per liberare la città nel nord della Siria dall’occupazione dello Stato Islamico.

Poi però, dopo alcune ore, il colonnello Steve Warren, portavoce della Coalizione internazionale anti-Isis, ha fatto sapere ai giornalisti di aver chiesto ai militari Usa di togliere le mostrine della milizia curda dalle proprie divise. “Indossare quei patch dello YPG non era autorizzato ed è inadeguato, e sono state adottate misure correttive” ha detto il comandante statunitense in un evidente tentativo di placare l’ira di Erdogan.

Da tempo il regime di Ankara chiede a Washington di mollare i curdi, scelti da Obama come truppe di terra della sua coalizione (e sostenuti anche dalla Russia) al posto delle milizie sunnite riunite in quell’Esercito Siriano Libero che sono passate ai gruppi jhadisti oppure sono state annientate da Al Qaeda, Stato Islamico o Ahrar al-Sham. In cambio del proprio sostegno agli sforzi statunitensi in Siria, finora accordato solo simbolicamente, Erdogan pretendeva che Washington bloccasse le milizie curde – considerate una organizzazione terroristica dal leader ‘neo-ottomano’ – e permettesse invece ai gruppi turcomanni e arabi manovrati da Ankara di prendere possesso di vaste zone nel nord del paese, di fatto sancendo il controllo turco su una fascia territoriale al confine con la Turchia.

Ma l’amministrazione Obama, dopo essersi accordata con Putin, ha dato il via libera alle Forze Democratiche Siriane, opportunamente equipaggiate, ed ha inviato nella regione circa 250 membri delle forze speciali il cui compito, almeno formalmente, è quello di vigilare e impedire i sanguinosi attacchi kamikaze che i membri dello Stato Islamico compiono con le autobomba contro le colonne di combattenti curdi.

Finora l’offensiva di circa 20 mila miliziani delle Ypg e delle altre formazioni militari alleate dei curdi nel nord della Siria ha ottenuto alcuni progressi ma non decisivi, conquistando una piccola città e alcuni villaggi di secondaria importanza a circa 45 chilometri di distanza da Raqqa. I jihadisti dell’Isis si preparano a difendere la loro ‘capitale’ in Siria ma secondo molte informazioni una parte ingente delle loro forze si starebbe spostando verso Aleppo.

L’offensiva dello Stato Islamico contro altre formazioni islamiste nel nord della provincia di Aleppo ha causato nelle ultime ore un enorme esodo di profughi che tentano di mettersi in salvo dai combattimenti ammassandosi al confine con una Turchia che però non ha nessuna intenzione di lasciarli passare. Secondo alcune organizzazioni internazionali sarebbero già circa 150 mila le persone bloccate dalle recinzioni e dai fili spinati presidiati da migliaia di militari turchi armati fino ai denti.

A una certa distanza dalla grande città sotto assedio da anni da parte dei gruppi della galassia jihadista, i miliziani dell’Isis hanno lanciato un attacco contro la zona di Afrin controllata dai curdi, a scapito delle milizie filo-turche ora strette tra due fuochi.

Questo mentre i negoziati in corso a Ginevra sul futuro della Siria tra le grandi potenze sono stati sospesi per le prossime tre settimane, durante le quali, è evidente, si giocherà un’importante battaglia a tutto campo sul terreno che determinerà eventualmente la prosecuzione delle trattative in una certa direzione piuttosto che in un’altra.

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