Il discorso di venerdì scorso del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha sedato, se possibile, qualsiasi dubbio riguardo la morte del comandante Mustafa Badreddine in Siria. Come del resto avviene da tempo, in ogni momento di difficoltà del partito sciita, Nasrallah interviene con i suoi discorsi televisivi in maniera da indicare la linea politica e militare da seguire sia ai suoi sostenitori sia ai suoi nemici, israeliani in particolare. Il suo intervento, trasmesso in diretta dal bunker nel quale vive ormai recluso da anni, ha chiarito la dinamica della morte del comandante sciita.
Il segretario generale di Hezbollah ha ribadito che le indagini sono state minuziose per comprendere chi fosse realmente l’esecutore dell’attacco. In questo senso ha dichiarato che “non abbiamo accusato il nemico israeliano, perché, dopo le nostre indagini, non sono stati loro. Questo non vuol dire, però, come hanno riportato i paesi arabi pro-israeliani, che non abbiamo accusato Israele perché Hezbollah non è pronto ad un conflitto o ad una risposta armata contro lo stato sionista. Dopo l’assassinio di Samir Kuntar, abbiamo detto al nemico che non tollereremo nessun altro omicidio mirato e che risponderemo a questi attacchi... noi siamo pronti e la nostra risposta andrà oltre le fattorie di Shebaa (colpendo tutto lo stato di Israele, ndr)”.
Per quanto riguarda la figura del comandante della resistenza Badreddine, Nasrallah ha rievocato le sue azioni e le sue capacità militari, ricordandolo come uno dei fondatori della “resistenza” in Libano. Fu lui, ad esempio, uno dei principali fautori delle sconfitte inferte a Israele fino alla sua ritirata dal territorio libanese, il 25 maggio 2000. Fu sempre lui a infliggere pesanti sconfitte al nemico: la più celebre fu quella di Ansariyyeh, nella quale un gruppo di truppe scelte israeliane subì pesanti perdite dopo essersi infiltrato in territorio libanese; o come le numerose sconfitte causate alle truppe sioniste durante l’invasione del 2006 con l’utilizzo di bunker sotterranei e tattiche di guerriglia. In merito all’accusa di Badreddine da parte del Tribunale Internazionale per l’omicidio di Rafik Hariri, ripreso con enfasi anche da alcuni quotidiani italiani, Nasrallah ha ribadito la più completa estraneità di Hezbollah in quell’attentato. Come recentemente riportato da Robert Fisk, uno dei più famosi reporter dell’Indipendent ed esperto conoscitore dell’area, la tempistica e le ripercussioni dell’attentato erano pensate, infatti, per nuocere al regime di Bashar Al Assad e al partito sciita. Appare, quindi, inverosimile che i mandanti fossero i siriani o Hezbollah. Chi, infatti, ne ha giovato è stata solamente l’Arabia Saudita che ha aumentato la propria ingerenza negli affari interni del paese dei cedri, ha ottenuto il ritiro delle truppe siriane dal Libano ed ha avviato una campagna che aveva come obiettivo ultimo quello che poi si è tentato con la guerra civile in Siria: rovesciare il regime di Assad.
Proprio in relazione al conflitto siriano, Nasrallah ha confermato le accuse relative ai legami ed al sostegno che i gruppi jihadisti (Daesh, Al Nusra, Jaish al Islam, Ahrar Al Sham...) hanno avuto dai loro paesi sponsor: Arabia Saudita, Qatar, Paesi del Golfo e Turchia, con l’avallo dell’amministrazione statunitense ed il sostegno israeliano. Tutti questi paesi hanno utilizzato i gruppi takfiri (jihadisti che accusano tutti di essere “kafir” empi, apostati, ndr) per “distruggere tutto sul loro cammino e uccidere tutti (cristiani, yazidi, sunniti e sciiti, ndr) pur di portare a termine il loro piano di far cadere Al Assad”. Il segretario ha aggiunto: “Hezbollah è intervenuto in Siria, dopo aver visto l’evolversi della situazione, per difendere le popolazioni che avevano richiesto il suo intervento (Comitati popolari delle comunità cristiane e sciite, ndr) e per difendere i confini libanesi dai gruppi takfiri ... la morte di Sayyed Badreddine non farà che aumentare il nostro intervento in Siria perché la guerra che si combatte lì è la guerra della resistenza in Libano, in Iraq e in Palestina contro il nemico sionista ed i suoi nuovi alleati (Arabia Saudita e Turchia, ndr) nella regione”.
A confermare i piani e la nuova alleanza strategica tra Israele e Arabia Saudita ci sono due notizie abbastanza allarmanti. La prima riguarda le dichiarazioni del direttore israeliano dell’INSS (Centro Studi Nazionale per la Sicurezza), Amos Yadlin, che in un’intervista sul quotidiano Yediot Aharonot ha annunciato che “Israele dovrebbe intervenire nel conflitto siriano in accordo con Arabia Saudita, Giordania ed Egitto”. Le sue dichiarazioni denotano un cambio di obiettivi nel governo israeliano con la nomina dell’ultranazionalista Lieberman al dicastero della Difesa perché “quello che sta avvenendo in Siria, vale a dire la vittoria dell’asse composto da Iran, Iraq, Siria ed Hezbollah è infinitamente molto più pericolosa di Daesh”. La seconda notizia, ancora più preoccupante, riguarda l’annuncio da parte dei media israeliani (fonte Al Alam) di una nuova proposta da parte saudita e dei paesi del Golfo relativa al “trattato di pace” per la Palestina e l’area dei territori occupati. Sono, infatti, stati modificati, o meglio cancellati, i punti relativi alla restituzione delle Alture del Golan ed alla questione del diritto del Ritorno per i profughi palestinesi e la risposta, se positiva da parte israeliana, avvierebbe dei nuovi accordi e dei nuovi colloqui di pace sotto l’egida e la supervisione, come annunciato nei giorni scorsi, del regime egiziano.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento