di Michele Paris
Quella di Obama in corso questa settimana è solo la terza visita di
un presidente degli Stati Uniti in Vietnam dalla fine del conflitto tra i
due ex nemici. Il viaggio di tre giorni nel paese del sud-est asiatico
ha al centro delle discussioni con i leader locali importanti questioni
economiche e militari, tutte inevitabilmente legate agli sforzi di
Washington per convincere Hanoi ad allinearsi ai piani strategici
americani anti-cinesi in questa parte del continente.
Per
garantire il maggiore impatto possibile della visita di Obama, poche ore
dopo il suo arrivo in Vietnam è stata diffusa la notizia che il governo
americano intende cancellare definitivamente l’embargo alla vendita di
armi a questo paese. Questa proibizione era in vigore dal 1975 ed era
stata già allentata sempre dall’amministrazione Obama nel 2014 per
consentire al Vietnam di ottenere una linea di credito destinata
all’acquisto di alcune navi da guerra.
La decisione presa due anni fa a Washington, secondo il Washington Post,
era servita a “rafforzare la sicurezza marittima del Vietnam nel Mar
Cinese Meridionale”, dove gli animi con la Cina si sono sensibilmente
infiammati negli ultimi anni per via del riesplodere di contese
territoriali alimentate proprio dagli Stati Uniti.
La notizia
della fine dell’embargo è stata confermata lunedì dallo stesso Obama
durante una conferenza stampa con il presidente vietnamita, Tran Dai
Quang. Come di consueto, Obama ha affermato pubblicamente l’esatto
contrario di ciò che ha motivato la sua amministrazione nel prendere
questa iniziativa, sostenendo che essa “non è basata sulla [minaccia]
della Cina”, ma sulla volontà degli USA di “completare un lungo processo
di normalizzazione delle relazioni con il Vietnam”.
Nel calcolo
americano rientra in questo caso anche la Russia, fino ad ora di gran
lunga il primo fornitore di armi del Vietnam. Le forze navali di Mosca
possono inoltre attraccare liberamente nella strategica Baia di Cam
Rahn, affacciata sul Mar Cinese Meridionale, mentre l’accesso per quelle
americane è per ora rigorosamente limitato.
Le intenzioni di
Washington sono perciò quelle di ridurre il più possibile i rapporti in
ambito militare tra Mosca e Hanoi. Recentemente, tra l’altro, era emersa
la notizia di come gli Stati Uniti avessero fatto pressioni sul regime
per sospendere il programma di collaborazione con la Russia che consente
ai velivoli militari di questo paese in missione nell’Oceano Pacifico
di fare rifornimento in territorio vietnamita.
Che l’obiettivo
principale degli Stati Uniti sia però la Cina è fuori discussione e a
confermarlo è l’impegno con cui l’amministrazione Obama in questi anni
ha insistito con vari paesi in Asia sud-orientale per far loro
intraprendere la strada della militarizzazione e per assicurare alle
proprie forze navali maggiore accesso a strutture posizionate
strategicamente.
Com’è accaduto per altri paesi, a cominciare
dalle Filippine, anche i rapporti del Vietnam con la Cina si sono
deteriorati in maniera significativa. Il punto più basso si era
raggiunto nel 2014, quando Pechino aveva posizionato una piattaforma
petrolifera nelle acque contese con Hanoi nel Mar Cinese Meridionale.
L’iniziativa aveva scatenato una feroce campagna anti-cinese in Vietnam
con la morte di due cittadini cinesi e la distruzione di fabbriche di
proprietà taiwanese e sudcoreana, perché scambiate per cinesi.
Gli
Stati Uniti hanno così da un lato soffiato sul fuoco della discordia
tra i due paesi e dall’altro si sono adoperati per intensificare i
legami con il Vietnam. Altamente simbolica delle intenzioni americane fu
ad esempio la grandiosa accoglienza riservata al segretario del Partito
Comunista vietnamita, Nguyen Phu Trong, vero depositario del potere nel
suo paese, durante la visita alla Casa Bianca nel 2015.
Il
rafforzamento dei rapporti con il Vietnam dovrebbe poi includere per gli
USA il “pre-posizionamento” di equipaggiamenti militari in determinate
strutture di questo paese. Ciò dovrebbe ufficialmente servire a
fronteggiare in maniera tempestiva eventuali disastri naturali ma, di
fatto, rappresenterebbe l’anticamera di un futuro dispiegamento di forze
militari permanenti o “a rotazione”.
La partnership con gli
Stati Uniti continua ad ogni modo a essere vista con qualche cautela dal
regime di Hanoi, viste le vicende del recente passato e la tradizionale
tendenza al multilateralismo della propria politica estera. Allo stesso
tempo, come per altri paesi della regione, la Cina riveste
un’importanza fondamentale anche per il Vietnam sul fronte degli
investimenti e degli scambi commerciali.
Tuttavia, la storia dei
rapporti tra i due vicini è fatta di tensioni, se non vere e proprie
guerre, come quella di confine combattuta brevemente nel 1979. Questo
contribuisce forse a spiegare la particolare apprensione di Pechino per
le iniziative diplomatiche, economiche e militari americane nei
confronti del Vietnam.
Timori che sono apparsi chiari dalle
critiche esplicite rivolte alla visita di Obama da parte della stampa
ufficiale cinese. Un commento dell’agenzia di stampa Xinhua, ad
esempio, ha accusato gli USA di non avere “limiti nell’intromettersi
nelle vicende regionali” relative al Mar Cinese Meridionale.
Lo
stesso organo del governo di Pechino ha scritto domenica che la
riconciliazione tra USA e Vietnam “non dovrebbe essere usata... come
strumento per minacciare o addirittura danneggiare gli interessi
strategici di un paese terzo”. Ancora più duramente e in maniera tutto
sommato corretta, Xinhua ha affermato che Washington ha reso
“alcuni paesi della regione più risoluti”, alimentando “le loro
illusioni di poter continuare a sfruttare interessi illegali” nel Mar
Cinese Meridionale.
Sostanzialmente allo stesso scopo di
sganciare, sia pure in maniera relativa, il Vietnam dalla Cina, ma sul
fronte economico, nella sua visita Obama non poteva non sollevare la
questione del trattato di libero scambio denominato “Trans Pacific
Partnership” (TPP), di cui il regime di Hanoi è firmatario assieme a
un’altra decina di paesi asiatici e del continente americano.
In
questo caso il compito del presidente Obama è quello di assicurare la
leadership comunista che il Congresso di Washington alla fine
ratificherà il trattato, anche se il clima elettorale negli USA e
l’emergere di tendenze “isolazioniste” nella maggioranza Repubblicana
suggeriscono che i tempi potrebbero non essere brevi. Il TTP serve
comunque a garantire il dominio delle multinazionali USA sul commercio
internazionale e rappresenta la componente economica delle manovre di
accerchiamento della Cina da parte americana.
Il Vietnam resta in
ogni caso un obiettivo allettante per il business a stelle e strisce.
Il regime che governa questo paese ha da tempo intrapreso una strada
“riformista” in ambito economico e l’adesione al TPP ha rafforzato i
propositi di liberalizzazione, dalla privatizzazione delle aziende
pubbliche all’abbattimento dei rimanenti ostacoli all’afflusso dei
capitali esteri.
Se la visita di Obama in Vietnam e quella
successiva a Hiroshima, in Giappone, in qualità di primo presidente USA
in carica a recarsi sul luogo dove venne sganciato un ordigno nucleare
nel 1945, dovrebbero testimoniare della volontà della Casa Bianca di
guardare al futuro e mettere da parte i conflitti del passato, quello
che lasciano intravedere le vicende di questi ultimi anni è in realtà la
preparazione di nuove guerre ancora più rovinose.
Infatti,
le questioni trattate ad Hanoi da Obama non possono che essere
considerate come provocazioni da Pechino, tanto più che s’inseriscono su
una vera e propria escalation della rivalità tra le prime due potenze
economiche del pianeta.
Dopo le polemiche americane per la
presunta militarizzazione da parte cinese di alcuni lembi di terra in
acque contese e l’invio ripetuto di navi da guerra USA in “ricognizione”
all’interno delle acque territoriali di isole la cui sovranità è
rivendicata da Pechino, proprio qualche giorno fa è stato registrato un
nuovo episodio allarmante.
Il Pentagono si era cioè lamentato
pubblicamente dopo che due aerei da guerra cinesi avevano intercettato
in maniera “non sicura” un aereo spia americano in missione sul Mar
Cinese Meridionale. Pechino aveva subito negato qualsiasi manovra
pericolosa ma il possibile incidente sfiorato ha dato vita a nuove
accuse e contro-accuse, mostrando la precarietà della situazione e il
rischio di guerra sempre più concreto in Estremo Oriente.
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