Da qualche anno, in prossimità delle elezioni, rinfocola la polemica
attorno alla questione del “male minore”. Complice il discredito
assoluto delle politiche centrosinistre, sembra essere stato bandito
dalla politica il concetto stesso di “male minore”, o “meno peggio”, a
seconda delle definizioni. Visto che negli anni abbiamo contribuito alla
demolizione del tic elettoralistico fondato sull’ideologia
“maleminorista”, occorre a questo punto fare delle precisazioni.
Il ventennio berlusconiano ci ha lasciato in dote una pericolosa
deriva ideologica, per fortuna in questi ultimi tempi in via di
superamento, che vedeva in ogni opzione politica avversa al blocco di
potere forzaleghista un vero e proprio male minore rispetto al degrado
morale, etico, economico, culturale che Berlusconi aveva impresso alle
vicende del paese. Questa dinamica perversa aveva portato ad abbandonare
ogni prospettiva legata all’emancipazione – anche parziale – delle
classi subalterne, abbracciando il liberismo riformista centrosinistro
in nome della sacra unità anti-berlusconiana. Riproponendo in sedicesimi
fantasiosi “fronti popolari” contro forme aggiornate di “fascismo”, la
sinistra di classe aveva completamente abdicato al suo ruolo storico e
alla sua funzione sociale, quella di rappresentare le ragioni e i
bisogni del mondo del lavoro.
Il problema era e rimane, in questo senso, interpretativo. Si andava
assumendo pigramente (e comodamente) la lettura
legalitario-giustizialista, dopo tangentopoli divenuta culturalmente
egemone, come prospettiva attraverso cui svelare le contraddizioni della
società. Lo scontro tra legalità e illegalità, onestà contro
corruzione, prendeva il sopravvento sul conflitto tra capitale e lavoro e
sulla difesa delle ragioni del lavoro contro quelle del capitale. Di conseguenza, dagli inizi degli anni Novanta, anche per
la sinistra “dei movimenti”, la differenza fondamentale non veniva più
rintracciata nella diversità di classe, ma nel rispetto delle regole,
delle leggi, della decenza etica, nell’onestà dei rappresentanti
politici nelle istituzioni, tutte questioni – sia chiaro – calpestate
dalla banda berlusconiana al potere.
Abbiamo sempre rifiutato la riproposizione folcloristica di politiche
da “fronte popolare” contro il berlusconismo o, più in generale, contro
il centrodestra. Attraverso questo conflitto mediaticamente simulato,
si celava la sovrapposizione completa di centrosinistra e centrodestra
alle politiche liberiste. In questo senso – e solo in questo senso – la
vulgata comune per cui “destra” e “sinistra” “non esisterebbero più”
trovava un suo significato, almeno per il cittadino comune. Sono i
concetti di “centrodestra” e “centrosinistra” a sovrapporsi, dileguando
ogni differenza sostanziale in nome del programma unico liberista.
Cedere alle retoriche mediatiche politicamente (ed economicamente)
interessate aveva portato pezzi di movimento ad appoggiare,
esplicitamente o meno, le più truci controriforme sociali votate ed
approvate, in questo ventennio, tutte inderogabilmente dal riformismo centrosinistro.
Rispetto a questa dinamica storica che ha abbracciato un ventennio
abbondante di politica italiana, coinvolgendo tutti i livelli del
confronto pubblico, abbiamo sempre detto: non esiste un male minore tra
centrosinistra e centrodestra, sono due facce della stessa medaglia
liberista. Cadere nel tranello retorico significa legittimare una
visione del mondo avversa degli interessi di classe: in altre
parole, scavarsi la fossa con le proprie mani. Votare il centrosinistra –
qualsiasi forma questo assumesse – significava votare il male peggiore, il
liberal-liberismo che accomuna le due fazioni politiche principali.
Questo punto di vista, teso a smascherare presunte diversità tra la
“sinistra” e la “destra” parlamentari, non ha mai significato, al
contrario, che in politica non esista in assoluto un “male minore”, cioè
forme della rappresentanza politica che, sebbene non sovrapponibili
alle nostre o non completamente condivisibili, lavorassero però
oggettivamente in opposizione alla marea liberista di questi anni (o, al
di là del liberismo, in opposizione al nemico politico principale del
momento).
A pensarci bene è un discorso tutto sommato ovvio. Lo spettro delle
differenze politiche ci pone tutti quanti su di un continuum che prevede
ipotesi più vicine alle nostre e ipotesi più lontane. Dipende da che
forma diamo a questo spettro di differenze, e che tipo di partita
abbiamo in mente di giocare. Se destra e sinistra sono concetti
intrinseci alle forme che assume il conflitto nella società, oggi questo
conflitto passa per la contrapposizione alla visione del mondo
liberista, che è la nuova (?) sostanza che assume oggi il concetto di
“destra” politica, al di là che questa assuma le sembianze del ceto
centrosinistro o centrodestro. La sinistra, in questo senso, dovrebbe
opporsi al centrodestra tanto quanto al centrosinistra. E’ per questo
che in politica esiste un male minore, solo che questo non è
rappresentato dalle varie forme che assume oggi la sinistra riformista
liberista. Pensare che in politica lo scontro sia sempre tra il “tutto” e
il “niente”, tra una purezza e una corruzione ideologica, significa
abdicare alla dialettica come strumento per intervenire nelle
contraddizioni del presente, in favore di una rigidità ideologica
parolaia da sempre caratteristica del settarismo residuale.
E qui si torna alla questione originaria: che partita abbiamo in
mente di giocare e quale terreno favorisce o penalizza le nostre
istanze. Se la partita è salvaguardare la propria identità
politico-ideologica, di conseguenza ogni discorso su presunti “mali
minori” viene automaticamente meno. Se invece la questione è come
intervenire nel presente, individuando quelle condizioni che facilitano
un’agibilità e una recettività potenziale, allora la questione del “male
minore” ritrova una sua attualità. Come detto, però, bisogna intendersi
sul significato concreto che la formula “male minore” acquista oggi. E
fermo restando un dato di partenza concreto: l’irrilevanza della
sinistra nella società, ragione originaria delle odierne diatribe su
presunti “mali minori”.
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