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21/05/2016

L’esempio della Francia (che investe facendo debito)

L’austerità è una politica folle, specie in tempi di crisi. E’ pro-ciclica, si dice in gergo. Ossia aumenta gli effetti del ciclo economico in atto. Se questo è negativo – e non c’è nulla di più negativo di una crisi che dura da quasi nove anni – si traduce inevitabilmente in un aggravamento della crisi stessa.

La lista dei critici dell’austerità aumenta di giorno in giorno, e specie dal martoriato Mezzogiorno si alzano sempre più precise e forti le voci che dicono “basta”. Naturalmente non vengono ascoltate, e bisogna ormai chiedersi il perché.

Proprio a Napoli, domani, il convegno internazionale “Italexit”, promosso dalla piattaforma sociale Eurostop, proverà a dare alcune risposte altrettanto precise.

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L’esempio della Francia (che investe facendo debito)

Andrea Del Monaco

Per il Presidente del Consiglio Matteo Renzi il Ministro Padoan ha fatto un lavoro straordinario ottenendo una flessibilità dello 0,85% del Pil: possiamo indebitarci per 14 miliardi in più rispetto a quanto avrebbe voluto Bruxelles. Tuttavia Renzi avrebbe voluto un margine ancora più alto ovvero la possibilità di fare più deficit per evitare un peggioramento della crisi. Ma non è un risultato a costo zero.

Ieri la conferenza stampa della Commissione Europea è stata chiara. «Non sarà aperta una procedura per deficit eccessivo contro l’Italia a causa del suo debito» ha detto il Commissario Europeo Pierre Moscovici: non sarà aperta perché l’Italia si è impegnata al seguente obiettivo: un deficit per il 2017 pari all’1,8% del suo pil e il pareggio di bilancio per il 2019. In autunno, ha aggiunto Moscovici, la Commissione farà una verifica sulla base della proposta di Legge di Stabilità che l’Italia invierà.

Ma cosa significa concretamente? Se il Pil rimane sostanzialmente stabile (o continua ad aumentare dei famosi zero virgola) possiamo fare tagli o aumentare le tasse (oggi le spese dello Stato italiano sono sostenute in parte a debito). Osserviamo in tabella 3 il rapporto Deficit/Pil dal 2014. Ogni anno ci indebitiamo per sostenere le nostre spese: nel 2014 ci siamo indebitati per il 3% del nostro Pil, nel 2015 ci siamo indebitati del 2,6%, nel 2016 ci indebiteremo del 2,3 %. Come si può notare, stiamo ampia mente sotto il celebre vincolo del 3% nel rapporto Defi cit/Pil. Ma attenzione, Moscovici non solo ci chiede per il 2017 la suddetta riduzione del deficit all’1,8% del Pil, ma per il 2018 vuole un deficit allo 0,9%, e, per il 2019 il pareggio di bilancio. Ovvero zero deficit (zero indebitamento).

Ora, per obbedire a Moscovici, e diminuire ulteriormente il nostro indebitamento annuo abbiamo solo due strade: aumentare le entrate oppure diminuire le uscite, per esempio le spese su sanità, scuola, trasporti. Terzium non datur! A tale scopo, la Commissione Europea, in tempi non sospetti ci ha imposto le clausole di salvaguardia; ovvero ci ha detto «se non tagli le spese mi devi garantire l’aumento automatico delle entrate, altrimenti ti indebiti troppo». Quando divenne premier Matteo Renzi volle evitare l’aumento delle accise carburanti e puntò sulla “Voluntary Disclosure” con il DL 192/2014. Temendo di non avere un gettito sufficiente il Governo Renzi prorogò i termini della Voluntary Disclosure dal 30 settembre al 30 novembre 2015. Nel contempo il Governo Renzi ha dovuto trovare 16,8 miliardi per evitare che scattassero sia le clausole di salvaguardia inserite dal suo Governo sia quelle inserite dal Governo Letta: se non lo avesse fatto, dal primo gennaio 2016 l’aliquota ordinaria dell’Iva sarebbe passata dal 22 al 24%, l’aliquota ridotta IVA al 10 % sarebbe salita al 12% e sarebbero aumentate le accise sui carburanti; inoltre sarebbero state ridotte detrazioni e agevolazioni fiscali.

Nella tabella uno sono ben evidenziati gli importi di quanto ci costa sterilizzare le clausole di salvaguardia. I 16,8 miliardi per il 2016 valgono un punto percentuale di PIl. Concretamente questo significa che, poiché noi ci indebiteremo nel 2016 del 2,3% del Pil, di questo 2,3%, quasi la metà, l’1%, è servito solo per sterilizzare le clausole di salvaguardia: insomma usiamo la flessibilità all’interno del Patto di Stabilità per evitare l’aumento delle tasse. Inoltre servono 15,1 miliardi nel 2017, 19,5 miliardi per il 2018 e per il 2019. Se non troviamo questi soldi, concretamente nel 2017 l’aliquota ordinaria dell’Iva salirà al 24% e l’aliquota ridotta salirà dal 10 al 13%; addirittura nel 2018 e 2019 l’aliquota ordinaria dell’Iva crescerà al 25%.

Ma a che cosa serve tutto ciò? La tabella 2 lo evidenzia bene: per le nuove regole dell’austerità sottoscritte dal Governo Monti nel 2012-13 dobbiamo fare due cose: raggiungere il pareggio di bilancio per il 2019, già rinviato troppe volte, e ridurre l’output gap, ovvero il divario tra l’andamento economico effettivo e l’andamento economico potenziale, cioè la differenza tra quanto cresciamo e quanto potremmo crescere. Ma rispettando tali regole l’Italia rischia di fare la fine del paziente morto dopo un’operazione tecnicamente perfetta.

Inoltre, avendo già fatto molti tagli (per esempio la Legge Fornero), come possiamo crescere e investire, se non possiamo indebitarci? La Francia investe facendo deficit. Imitiamola!

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