Siamo forse arrivati ad un punto di svolta nel rapporto fra progresso
tecnologico ed occupazione? È quanto sostiene in “Al posto tuo – Così
Web e Robot ci stanno rubando il lavoro” il giornalista Riccardo
Staglianò. Se infatti fino a qualche anno fa il delta fra i lavori
creati e quelli distrutti dalle nuove tecnologie era positivo, il
rapporto pare destinato ad invertirsi negli anni futuri. Vi è poi un
ulteriore elemento di novità: c’è una serie di innovazioni in arrivo che
potrebbero mettere a repentaglio non solo i tipici lavori da “colletti
blu”, finora ritenuti più facili da automatizzare, ma anche professioni
“insospettabili” come la medicina o il giornalismo.
Staglianò (che potremmo definire un tecno-entusiasta pentito)
costruisce un libro che non ha un approccio scientifico al tema, ma
costituisce piuttosto una utile carrellata su alcune delle principali
innovazioni tecnologiche che già sono in campo o che lo saranno a breve,
e sul loro potenziale distruttivo in termini di posti di lavoro in vari
settori. Non si parla solo dei più noti (perché già pienamente
operativi) Uber, Amazon ed Air B&B, ma anche di algoritmi in grado
di scrivere articoli di giornale di senso compiuto (se ne trova un
esempio in questo video
del Financial Times), di robot in grado di rendere la catena di
montaggio quasi totalmente automatizzata, di università digitali in
grado di raggiungere un numero enorme di potenziali studenti.
Il punto comune di queste innovazioni è che se da un lato permettono
un’immediata convenienza individuale (al consumatore ma sopratutto al
produttore), dall’altro possono mettere a rischio milioni di posti di
lavoro senza che questi vengano adeguatamente rimpiazzati. E qui si
arriva però ad una contraddizione, che già era stata il fulcro di vari interventi su Contropiano di Francesco Piccioni: se sempre meno persone lavorano, chi comprerà le merci prodotte?
Qui si apre lo spazio per l’azione politica. Staglianò dedica alla
questione l’ultimo capitolo, e senza scendere troppo nei dettagli elenca
alcune possibili alternative ad una situazione distopica in cui una
sempre più piccola quota della società trae enormi profitti dalla
proprietà dei robot a fronte di milioni di disoccupati “tecnologici”.
Fra le soluzioni elencate c’è il reddito minimo (una soluzione suggerita
anche in questo folgorante
articolo di Giorgio Gattei) o un’affascinante quanto difficile
“dotazione robotica diffusa” per ciascuno. Certo è che occorre
discuterne seriamente, per costruire (usando le parole di Piccioni) “un
blocco sociale adeguato alla visione e alla dimensione dell’avversario”.
Da questo punto di vista le due iniziative
organizzate dalla Campagna Noi Restiamo al Politecnico di Torino
sembrano un buon punto di partenza, così come l’inserimento della questione all’interno della Piattaforma Programmatica dell’Unione Sindacale di Base.
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