Inchiesta. Abbiamo visto come l’alto livello di appropriazione privata delle risorse del turismo a Roma porti in realtà pochi benefici all’insieme dei suoi abitanti ed in particolare a quelli delle periferie. Si impone quindi un radicale cambio di passo e di priorità.
Innanzitutto va rivendicato il fatto che la città è dei suoi abitanti. La gentrificazione forzata del centro e di interi quartieri della prima cerchia fuori le mura (basti pensare al disastro del Pigneto o di San Lorenzo e alle minacce di fare altrettanto su Garbatella, Quadraro etc.), non può più essere lasciata alla totale deregulation dell’iniziativa privata. Non solo. Roma sta facendo i conti con un elevatissimo livello di penetrazione dei capitali criminali (mafia, n’drangheta, camorra) nelle attività commerciali come copertura per il riciclaggio del denaro sporco. Si perseguitano i centri e gli spazi sociali occupati ma si lascia mano libera a continui cambiamenti di proprietà e destinazioni d’uso di esercizi commerciali, supermercati, ristoranti etc.
In secondo luogo, il turismo di massa va “governato” e non lasciato in mano agli interessi privati che stanno producendo – di fatto – l’espropriazione e l’estraneazione del centro di Roma verso i suoi abitanti. E’ evidente come l’aver reso le periferie irraggiungibili produce una estraneazione materiale, culturale, psicologica di centinaia di migliaia di abitanti verso la città. Ma va detto anche che tutto questo non è avvenuto casualmente ma scientificamente. Creare quartieri sempre più lontani, significa rendere più appetitosi per nuovi insediamenti edilizi i terreni posti in mezzo tra una periferia sempre più marginalizzata e le zone più vicine alla città intra-anulare. Emblematico, in tal senso, è il progetto di realizzare un secondo GRA, oltre quello esistente, proprio per aumentare il valore fondiario dei terreni posti in mezzo. Quindi lo stop alla cementificazione e all’ulteriore consumo di suolo è una condizione preliminare per ogni ragionamento su Roma.
In secondo luogo non possiamo che dividerci da visioni come quella della Confindustria sul come rendere la risorsa turismo un beneficio comune piuttosto che un guadagno per pochi.
La Confindustria chiede la modifica dell’art.17 della Costituzione che dopo la modifica del Titolo V nel 2001, ha affidato la competenza per il turismo alle regioni. Chiede inoltre lo scioglimento dell’Enit (Ente Nazionale per L’industria del Turismo) all’insegna della campagna generale per l’eliminazione di ogni soggetto pubblico di intervento nei vari settori dell’economia. Curioso ma non strano. Infatti secondo Confindustria il turismo non può crescere in modo spontaneo affidandosi al mercato ma deve “forzatamente rivolgersi a risorse private con misure incisive delle politiche pubbliche”. Tradotto, il settore pubblico deve limitarsi a mettere a disposizione risorse, servizi e infrastrutture (accollandosi i costi) ma lasciare mano libera alla gestione diretta o in concessione ai soggetti privati. Insomma il modello Colosseo è l’esempio più calzante e più inaccettabile di questa visione.
Le criticità individuate riguardano la scarsezza di Grandi Eventi nella Capitale. Ciò spiega la forsennata campagna per le Olimpiadi nel 2024 ma anche la voglia di mettere le mani sui grandi eventi culturali e i parchi divertimenti. La cultura, secondo Confindustria, è un “driver” in senso esteso, includendovi il settore che sta facendo tendenza (e profitti) come il “food” che, come abbiamo visto, è uno dei forti capitoli di spesa e consumi dei travel detailer (i consumatori dinamici ossia i turisti). “Adeguare le strategie competitive alle nuove situazioni globali” scrive il rapporto della Confindustria pensando ad una organizzazione del turismo che non sia solo musei ma anche industria del tempo libero e del divertimento. Si registra poi una debolezza nel rapporto qualità/prezzo dei servizi turistici e nei divertimenti serali. Il problema, ad esempio, che a Roma è debolissimo il turismo giovanile fortissimo invece in altre metropoli come Barcellona, Madrid, Londra, Parigi, Amsterdam, Berlino, Praga.
Infine i Grandi Eventi sono l’occasione per grandi opere infrastrutturali a beneficio dei privati. La Confindustria punta all’allargamento dell’aeroporto di Fiumicino (ovviamente sui terreni acquistati da Benetton dopo la privatizzazione dell’azienda Maccarese). La motivazione è che Fiumicino movimenta 38 milioni di passeggeri mentre è nato per movimentarne 25 milioni. Allo stesso modo l’operazione Olimpiadi sull’area di Tor Vergata spianerebbe la strada a milioni di metri cubi di edificazione e cemento con il pretesto del villaggio olimpico. A beneficiarne, come noto, sarebbe il boss Caltagirone. C’è poi il litorale, quello conteso dagli appetiti della criminalità organizzata e sul quale è stata stroppata l’operazione Waterfront (che non è una ipotesi di fantasia del romanzo e del film “Suburra” ma una delibera effettivamente in discussione al tempo della giunta Alemanno) con l’idea di fare del litorale da Fiumicino a Torvaianica una sorta di Atlantic City con hotel, case da gioco, parchi divertimenti. Un aspetto potenziale di questa crescita di affari verso il litorale emerge anche dalla pervicacia con cui è stata perseguita l’ipotesi della costosa, dannosa e inutile autostrada Roma-Latina che aprirebbe a infrastrutture, servizi e ricettività anche l’agro pontino e la costa al di là della provincia di Roma. Sul litorale l’odore di riciclaggio e investimento dei capitali criminali si respira a ogni metro delle operazioni già realizzate come il Porto commerciale di Ostia (zona idroscalo). Se Ostia rimane al momento l’unico municipio commissariato per infiltrazioni malavitose ci sono seri e fondati motivi. Il problema è sempre il demone della liquidità. C’è chi ce l’ha e ce chi non ce l’ha, e le organizzazioni criminali ne hanno in abbondanza con la necessità continua di ripulirlo e investirlo legalmente.
E’ evidente che questa visione della città, della sua valorizzazione e delle sue risorse, è antagonista a quella che intendiamo mettere in campo attraverso l’azione della Carovana delle Periferie, in alleanza con tutti coloro che intendono recuperare e sviluppare la città pubblica contro quella dominata dagli interessi privati.
Una visione alternativa della città non può che partire da alcuni obiettivi minimi e dirimenti:
- Lo stop alla cementificazione e dunque no alle Olimpiadi (un regalo a Caltagirone), al progetto Tor di Valle/Stadio della Roma (un regalo a Parnasi) e all’estensione dell’aeroporto di Fiumicino (regalo a Benetton). Le infrastrutture e il costruito che c’è già a Roma basta e avanza per le esigenze della città, dei suoi abitanti e degli eventi che è in grado di ospitare;
- L’uso della tassa di soggiorno come tassa di scopo per gli investimenti nelle periferie. Recupero dei fondi europei attraverso la definizione dell’Agenda Urbana (che solo la Regione Lazio insieme al Trentino Alto Adige non ha fatto);
- La creazione di un sito pubblico di gestione internazionale della ricettività e dei servizi turistici a Roma sottraendolo alle multinazionali OTA;
- L’aumento degli organici e dei servizi pubblici in tutta la rete museale e archeologica della città;
- Il ritiro delle concessioni ai privati nella gestione dei servizi museali e archeologici;
- Il governo dei flussi turistici in entrata nella città sulla base delle possibilità che la città è in grado di mettere effettivamente a disposizione. Meno turisti ma con risorse distribuite più equamente non sarebbero un dramma ma un vantaggio per Roma.
Una volta sfatato un luogo comune, diventa necessario dare concretezza ad un’altra visione della città. “Roma è una città in pezzi” scrivono Vezio De Lucia e Francesco Erbani nel loro recente libro “Roma Disfatta”. Cominciare a ricostruirla sulla base dell’uguaglianza dei suoi suoi abitanti è il primo passo da compiere.
Vedi la prima puntata dell’inchiesta
Vedi la seconda puntata dell’inchiesta
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