“Due mesi di cessate il fuoco in Yemen e i civili continuano ad
essere gravemente colpiti dalle violenze”. Così si apre l’ultimo
comunicato stampa di Medici Senza Frontiere, organizzazione
internazionale che ha subito in prima persona il conflitto in corso nel
paese, con cliniche e ospedali bombardati dagli aerei della coalizione a
guida saudita.
Soffrono ancora, i civili, perché il cessate il fuoco è una coperta troppo corta: da
quando la tregua è stata siglata tra coalizione sunnita e governo da
una parte e ribelli Houthi dall'altra, 1.624 persone sono state ferite
solo nella città centrale di Taiz, la metà dei quali civili.
Taiz resta centro del conflitto: città strategica perché a metà tra la
capitale ufficiale Sana’a a nord e quella temporanea del governo, Aden, a
sud, è ogni giorno target di entrambe le parti. Bombe dal cielo, mine a
terra, guerriglia urbana. A finire nel mirino sono le zone
residenziali, come il 3 giugno: in un solo giorno, ricorda Msf, ben 122
persone sono state curate nelle cliniche dell’organizzazione dopo che un
missile aveva colpito un mercato.
Ma non è solo Taiz a restare intrappolata nel limbo della tregua che non c’è.
Tutto il paese è alle prese con una crisi senza precedenti: la maggior
parte della popolazione, l’80%, 21 milioni di persone, non ha accesso a
medicine, cibo, acqua potabile; le strade sono piene di immondizia,
provocando un’espansione rapida e innaturale delle malattie; i prezzi
dei beni essenziali sono alle stelle.
E con l’aumento delle temperature, oltre 40 gradi in questo
primo mese d’estate, la situazione non fa che peggiorare a causa dei
continui blackout di energia elettrica. L’assenza delle
istituzioni ha annullato i servizi pubblici e il blocco imposto
dall’Arabia Saudita impedisce l’ingresso di carburante, unico sostituto
agli impianti di energia, perché utilizzabile dai privati per i
generatori. Se la corrente non c’è, gli ospedali si fermano, i
condizionatori fondamentali ad affrontare il caldo torrido restano
spenti, le poco piccole industrie ancora attive non lavorano come non
lavorano i sistemi di purificazione dell’acqua. Secondo fonti
mediche ad Aden, dove due impianti di energia elettrica su tre (Khor
Maksar e al-Mansoura) sono spenti e il terzo lavora ad un quarto delle
proprie capacità, sono già 9 gli anziani morti negli ospedali a causa
dei blackout che rendono inutilizzabili i macchinari salva-vita.
Mentre il paese si piega su se stesso e il cessate il fuoco continua
ad essere sbandierato dalle parti come grande conquista diplomatica, le
Nazioni Unite non riescono nel difficile compito di giungere ad un
accordo politico tra Houthi e Riyadh. Dopo settimane di contrattazioni,
aperture seguite da immediate chiusure, abbandoni del tavolo negoziale, ieri l’inviato speciale Onu avrebbe sospeso la roadmap a causa – dice una fonte anonima – dell’intransigenza dei ribelli Houthi.
Sia il movimento che la coalizione a guida sunnita avevano ricevuto
la proposta di roadmap dall’Onu, un piano in tre punti: procedure
preliminari (tra cui l’annullamento della Dichiarazione Costituzionale
del febbraio 2015 degli Houthi); la creazione di un consiglio militare
formato da personalità non coinvolte nella guerra e chiamate a gestire
il ritiro dalle zone occupate dagli Houthi; la formazione di un governo
di unità nazionale e la conseguente amnistia generale.
Ma le parti sono distanti. Quella che viene definita
“intransigenza” da parte Houthi è figlia della mancanza di garanzie da
parte dell’avversario, l’Arabia Saudita che manovra il governo del
presidente Hadi, che più di una volta ha manifestato l’intenzione di non
riconoscere ai ribelli partecipazione politica. E Riyadh ha abbastanza potere da riuscire a farlo: la settimana scorsa, con minacce pesanti, ha costretto l’Onu a cancellare la coalizione anti-Houthi dalla lista nera dei soggetti che violano i diritti dei bambini.
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