Se durante i primi giorni successivi al fallito golpe del 15 luglio l’obiettivo delle bordate turche è stato il governo di Washington, accusato di ospitare il ‘terrorista’ Gulen se non di aver concesso il proprio sostegno ai militari ribelli, attualmente gli strali di Erdogan e soci sono tutti rivolti contro l’Unione Europea, ed in particolare contro Berlino.
Il presidente turco in persona ha ribadito in una intervista concessa a Rainews 24 quanto già affermato dal suo ministro degli Esteri, Mevlut Cavusgolu: se l’Ue non concederà la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, Ankara non rispetterà più l’accordo sui migranti firmato a marzo.
Non solo. Confermando l’intenzione di reintrodurre la pena di morte in Turchia – “Se il Parlamento la voterà, siamo pronti a reintrodurre la pena di morte” ha detto – il ‘sultano’ ha approfittato dell’intervista per attaccare frontalmente anche l’Italia, accusata di minare le relazioni tra i due paesi a causa di una inchiesta a carico di suo figlio, che l’estate dello scorso anno si era rifugiato a Bologna per sfuggire alle accuse di corruzione rivoltegli in patria da alcuni magistrati ai quali comunque il regime ha nel frattempo tappato la bocca. La scusa era che Bilal Erdogan doveva finire un dottorato alla John Hopkins University, iniziato nel 2007. A marzo ha però lasciato di corsa l’Italia per imprecisati “motivi di sicurezza”; nel nostro paese infatti Bilal Erdogan è accusato di riciclaggio di denaro dopo un esposto presentato da Murat Hakan Huzan, un antagonista del presidente che si è rifugiato in Francia. «Potrebbe essere arrestato perché c’è un’inchiesta su di lui a Bologna e non si sa perché. Questa vicenda potrebbe mettere in difficoltà le nostre relazioni con l’Italia, che dovrebbe occuparsi della mafia, non di lui» ha tuonato il presidente turco.
Dure le parole rivolte a Federica Mogherini: “La Mogherini non avrebbe dovuto parlare da fuori. Mogherini prima di tutto saresti dovuta venire in Turchia!”. E poi, ancora: «Se viene bombardato il Parlamento italiano che succede? La Mogherini, che è italiana, come reagirebbe: direbbe che hanno fatto bene a bombardarlo? Di essere preoccupata dai processi che seguirebbero?». L’accusa non riguarda solo il capo della diplomazia dell’Unione europea: «In Turchia c’è stato un golpe contro la democrazia che ha fatto 238 martiri e nessuno è venuto qui», ha detto il leader islamo-nazionalista turco riferendosi ai leader dell’Unione Europea.
Ancora più forti ed esplicite le accuse contro l’Unione Europea e gli Stati Uniti pronunciate oggi da Erdogan durante un discorso agli investitori trasmesso alla tv turca. “Sfortunatamente l’Occidente sostiene il terrore e si schiera a fianco di chi ha ordito il golpe. Coloro che immaginavamo fossero amici si schierano al fianco dei golpisti e dei terroristi”, ha detto il ‘sultano’.
Al ricatto e alle accuse turche ha risposto Berlino, usando toni altrettanto duri. “In nessun caso la Germania o l’Europa devono farsi ricattare dalla Turchia” ha detto il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel a Rostock, riferendosi alla minaccia di Ankara di mettere in discussione il patto con l’Ue sui migranti se Bruxelles non fornirà entro ottobre una data certa per la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. “Se ci sarà la liberalizzazione dei visti dipende esclusivamente dalla Turchia”, ha aggiunto l’esponente socialdemocratico il quale ha anche difeso il divieto della Corte costituzionale alla trasmissione di un messaggio video di Erdogan durante la manifestazione di domenica a Colonia organizzata da gruppi di sostegno al regime di Ankara: “È stata legittima ed è servita ad allentare la tensione”. Da parte sua, rispondendo ad una domanda di un giornalista a proposito della possibilità che la Turchia possa ricattare la Germania sull’intesa sui migranti, il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha risposto: “E’ assurdo”. “Il fatto è che ci sono condizioni da rispettare per la liberalizzazione dei visti, che sono note a tutti. Ankara si è impegnata ad adottare le misure necessarie per rispettare la propria parte di accordo. E la Turchia ha ancora lavoro da fare”.
Sul fronte interno, il primo ministro turco Binali Yildirim ha ribadito nuovamente che non c’è alcuna ombra di dubbio sulla diretta responsabilità del predicatore e imprenditore Fetullah Gulen, rifugiato negli Usa dal 1999, nell’organizzazione del tentato colpo di stato del 15 luglio. Yildirim, nel corso di un incontro con la stampa nella sua residenza di Ankara, ha sottolineato che Hizmet, l’organizzazione che fa capo a Gulen, ha trovato l’humus nelle scuole militari, «ne ha assunto il controllo, fortificando il suo potere in queste scuole. Quelli che hanno provato a rifiutare – ha detto Yildirim – lo hanno fatto invano. Fethullah Gulen è al centro del golpe».
Proprio ieri il governo, grazie ai poteri speciali conferitigli dalla proclamazione dello stato d’emergenza di tre mesi da parte del parlamento, ha decretato la chiusura di tutte le accademie e delle scuole militari del paese, che saranno rimpiazzate da un ateneo apposito di nuova costituzione che risponderà direttamente al Ministero della Difesa, assieme all’esercito di terra, alla Marina e all’Aeronautica. Erdogan durante un programma televisivo aveva anticipato l’accorpamento dei servizi segreti e del comando generale al Ministero della Difesa. Al contempo, sulla Gazzetta Ufficiale si conferma la sospensione di 1389 militari tra cui l’ex consigliere capo di Erdogan, Ali Yazici.
Il regime intende dividere in due la sua intelligence, scorporando i servizi interni e stranieri, dopo che l’organizzazione è finita sotto accusa “per non essere intervenuta in tempo” contro i golpisti. Lo scrive il quotidiano turco Hurriyet (opposizione nazionalista laica) ricordando che il presidente è letteralmente furioso con il Mit, il servizio di intelligence nazionale. Il vicepremier Numan Kurtulmus ha confermato che un riassetto dello spionaggio turco è “in agenda”. Secondo Hurriyet, il riassetto comporterebbe la separazione del controspionaggio interno da quello estero. L’intelligence interna verrebbe affidata alla polizia ed anche alla Gendarmeria che a sua volta sarà posta sotto il controllo del ministero degli Interni e non più delle forze armate come avviene attualmente. L’intelligence all’estero verrà invece posta sotto il controllo della presidenza della Repubblica.
Intanto è salito a 11 il numero di soldati arrestati nelle ultime ore con l’accusa di aver fatto parte del commando incaricato dai golpisti di catturare (e forse uccidere) il presidente turco la notte del 15 luglio, mentre si trovava nella località balneare di Marmaris. Secondo quanto reso noto dal governo gli 11, che si erano dati alla fuga, sarebbero stati catturati nei pressi di alcuni villaggi nella regione di Ula. Durante la retata, realizzata con l’utilizzo anche di droni ed elicotteri, vi sarebbero stati anche degli scontri a fuoco. In totale sono 37 i soldati arrestati con l’accusa di aver composto il commando che doveva occuparsi del presidente Erdogan, in vacanza sulla costa Egea al momento del golpe. Secondo il ministro della Difesa, Fikri Isik, dopo il fallito putsch ci sarebbero 331 militari disertori, tra cui 9 generali, che si sarebbero resi irreperibili, sottraendo in alcuni casi armi e proiettili, ma non mezzi terrestri né aerei.
Inoltre sono stati spiccati 100 mandati di arresto per dipendenti dell’ospedale militare di Ankara, compresi diversi medici: lo ha annunciato il canale privato NTV, secondo cui una retata della polizia è stata condotta all’interno dell’ospedale Gulhane, il più grande ospedale militare della capitale turca. Il regime ha deciso di sottrarre la clinica militare al controllo dell’esercito e di trasferirla alle competenze del Ministero della Sanità.
Il tentativo di golpe è già costato alla Turchia “almeno 100 miliardi di dollari”, e altri danni per l’economia ci saranno “nel medio termine” ha rivelato il ministro del Commercio, Bulent Tufekci. “Il costo esatto probabilmente aumenterà quando saranno fatti dei calcoli dettagliati”, ha aggiunto, facendo riferimento agli effetti negativi su turismo ed esportazioni.
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