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15/08/2016

La santa alleanza che estingue la sinistra occidentale

In nome della lotta a Donald Trump, indicato da media e politica mainstream come nuovo male assoluto dopo Saddam, Gheddafi, Putin e Boris Johnson, la sinistra occidentale sia europea che statunitense si sta scavando la fossa con le proprie mani. Operazione invero problematica, visto che nella fossa c’è già da diversi anni. Eppure, se mai esistesse un punto di non ritorno, il fronte politico a favore di Hillary Clinton potrebbe degnamente rappresentarlo. La convergenza tra socialdemocrazia, fantasie occupy, Wall Street e Silicon Valley era in realtà nelle cose. Le varie tendenze liberal della società statunitense, dalla più “radical” alla più istituzionale, condividono un orizzonte valoriale e sociale molto più omogeneo di quanto possa sembrare a prima vista. Bernie Sanders che appoggia Hillary Clinton in funzione anti-Trump non descrive solo la scelta individuale di un senatore indipendente, ma la continuità storica tra sinistra post-moderna e “sinistra” istituzionale. Ci è arrivato persino Slavoj Zizek, campione intellettuale della radicalità post-moderna, e che però dalle colonne del Corriere della Sera di ieri denunciava l’abisso politico in cui si sta cacciando la “sinistra radicale” (qui ci vorrebbero diverse virgolette) statunitense nell’appoggiare la rappresentante ufficiale di Wall Street. Il capitalismo attuale riesce d’altronde proprio in questo: rappresentare sia il governo che l’opposizione, organizzare sia il consenso che il dissenso, tutto in forma compatibile con la propria sopravvivenza. Hillary Clinton ha gioco facile nell’includere nel suo programma tutte le richieste provenienti dal mondo radical statunitense, perché tutte quelle richieste possono benissimo essere comprese nel capitalismo neoliberale attuale, visto che non ne mettono in discussione le fondamenta economiche. Ambientalismo ed ecologismo, diritti civili, diritti umani, universo Lgbt, welfare state, redistribuzioni parziali di reddito, sono concessioni innocue che vengono prontamente metabolizzate da qualsiasi esponente in corsa per la presidenza. Le ragioni del lavoro, al contrario, rimangono confinate alla rappresentanza di soggetti inadeguati, populisti e reazionari di cui Trump è solido esponente. Lo dice molto meglio di noi lo stesso Zizek:
“La rabbia popolare che ha alimentato la campagna di Trump è la stessa che ha fatto nascere Sanders, e mentre entrambi esprimono un malcontento sociale e politico molto diffuso, lo fanno in senso opposto[…]Potete lottare per qualsiasi cosa, ma noi vogliamo tenerci l’essenziale, ovvero il funzionamento senza ostacoli del capitale globale[…]Si, siamo pronti ad accogliere tutte le vostre istanze culturali… ma senza mettere in pericolo l’economia globale di mercato – e pertanto non c’è nessun bisogno di varare riforme economiche radicali”.
Per concludere con l’obiettivo della riflessione:
“L’oggetto da combattere e sconfiggere in questo momento è precisamente questo consenso democratico contro il Cattivo”.
E’ esattamente questo il punto, in America rappresentato dal confronto Clinton-Trump ma che in Europa si era già manifestato nella questione Brexit (ne avevamo già parlato qua). Il consenso trasversale, falsamente progressista e illusoriamente razionale, della difesa dello status quo liberale. All’interno di questa pappa consensuale ributtante, scompaiono le ragioni di classe, fagocitate dalla dialettica tra una “sinistra radicale” espressione delle istanze culturali democraticiste, e un centro politico incaricato di tenere le redini del governo economico dei territori. Ma se “sinistra” e centro (che può assumere le forme del centrosinistra o del centrodestra, in tutto speculari) marciano compatti o quantomeno compatibili, l’unica espressione politica che si ritrova a rappresentare le istanze di resistenza del lavoro è la destra reazionaria e/o populista, a cui viene lasciato un compito storico che non può in alcun modo assolvere ma che, in assenza di avversari, continua a garantirgli visibilità e potenzialità politica. Questo spiega, almeno in parte, l’attuale fase della politica occidentale, simile nella Ue come negli Usa. Sinistra e centro visti come espressione del sistema politico-economico dominante; destra reazionaria od opzioni populiste sfruttate come strumento per scardinare, almeno elettoralmente, l’egemonia del “sistema” da parte dei ceti deboli e/o impoveriti dalle scelte economiche dello stesso “sistema” di potere. L’eterno ritorno del “fronte antifascista” senza fascismo non può che schiacciare la sinistra sulle posizioni economiche liberiste. Trump non è “fascista”, è solo il frutto dell’assenza drammatica di un orizzonte politico opposto a quello dominante. Continuare a perdere tempo concentrandosi sul suo parrucchino o sulle sue uscite razziste, alleandosi per questo con il grande capitale transnazionale, non potrà far altro che chiudere la bara in cui è rinchiusa la sinistra.

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