Non appena la crisi ricorda a tutti di non esser mai finita, si alza immediatamente la voce ammonitrice di chi reclama più austerità sui conti pubblici (tacendo sempre sull'insostenibilità di quelli privato, soprattutto). E il più autorevole austero resta ancora il presidente della banca centrale tedesca, Jens Weidmann.
Fin qui sembra il solito gioco, ma stavolta l'invito cattivo è rivolto al proprio paese, la Germania. Il bollettino mensile di Bundesbank recita infatti: "Un allungamento della vita lavorativa – scrivono gli economisti tedeschi – non dovrebbe essere un tabù ma deve, anzi, essere considerato come un elemento fondamentale" per garantire la sostenibilità del sistema e il tasso di sostituzione. In Germania l'età del ritiro è attualmente a 67 anni, con possibilità di anticipo limitate. Un allungamento di questo limite significa arrivare a 69 o 70 anni. Come dire scordatevi di poter andare in pensione...
Per le generazioni entrate al lavoro con le leggi Hartz IV la previsione è già ora molto peggiore. Inutile far notare a un Weidmann o un Dijsselbloem che in questo modo si distrugge il benessere della popolazione: l'obiettivo è infatti proprio quello.
Il calcolo di Buba è ragionieristicamente impeccabile ma decisamente bastardo. Esclude infatti come "modificabili" tutta una lunghissima serie di voci del bilancio statale, per arrivare infine a "dimostrare" che se non si toccano unicamente le pensioni tutto salta.
Il ragionamento è fatto sulla generazione dei baby boomers, ovvero dei nati negli anni '50 e '60, quando il benessere successivo alla ricostruzione post-bellica aveva spinto le famiglie dei sopravvissuti a mettere al mondo un buon numero di figli. L'anno di picco delle nascite è in Italia il 1964, ed anche in Germania la prima parte degli anni '60 presenta una dinamica simile. La discesa, da allora in poi, è continua e attualmente la popolazione autoctona tedesca è stimata diminuire di circa mezzo milione l'anno.
L'allarme di Weidmann prende naturalmente il "picco" e ne estrapola – in modo alquanto sbrigativo – una tendenza, come se negli anni successivi quel trend non si fosse mai invertito, arrivando così a sostenere che "tra il 2030 e il 2060" il costo potrebbe diventare insopportabile. In ogni caso il ricatto è esplicito: o si aumenta l'età pensionabile portandola il più vicino possibile all'aspettativa di vita (tradotto: dovete morire sul lavoro), oppure si aumenta la percentuale di salario dirottata ai contributi previdenziali, oppure ancora si abbassa il "tasso di sostituzione", cioè il rapporto tra assegno pensionistico mensile e ultima retribuzione percepita (già ora molto basso, intorno al 42%).
Con le elezioni ormai in vista – in Germania si vota nel 2017 – la Merkel non intende affatto dare un'altra carta vincente in mano ai suoi avversari. Quindi si è affrettata a garantire che il sistema previdenziale resterà immutato.
Ma la sortita della banca centrale è chiaramente rivolta a tutti i membri dell'Unione Europea; se persino la Germania, il paese economicamente più forte e con i conti quasi in regola con i parametri di Maastricht, è costretta a stringere la cinghia, figuriamoci cosa dovranno fare i paesi con deficit o debito eccessivo (Francia e Italia, in primo luogo).
Detta semplicemente, si tratta secondo questi tecnocrati di portare a termine rapidamente il rovesciamento del "modello sociale europeo", caratterizzato da un forte welfare "keynesiano" e politicamente giustificato dalla necessità di catturare consenso in chiave anticomunista (il "socialismo reale" e non solo...).
Il grosso del lavoro in questa direzione – le varie "riforme" del mercato del lavoro che hanno azzerato i diritti dei dipendenti sia pubblici che privati, i tagli continui alla sanità pubblica, la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali (trasporti, acqua, energia, ecc) – è ormai stato fatto. Si tratta di sradicare le ultime radici rimaste – tra queste la più grande è proprio quella delle pensioni – per affermare concretamente il principio che tutto è dovuto all'interesse del mercato capitalistico e nulla alle popolazioni. In prospettiva, dunque, anche le pensioni già in essere dovranno subire tagli forsennati, come è stato imposto alla Grecia.
La logica di bilancio – in generale ineccepibile (non si può consumare, ovvero spendere, più di quanto si produce, o per lo meno, non sistematicamente) – è qui manovrata a senso unico. Nel settore finanziario, infatti, nulla viene rimproverato a quanti (ad iniziare da Deutsche Bank, vedi qui) hanno accumulato perdite, debiti, "sofferenze" sistemiche inaffrontabili. Anzi, ogni sforzo "pubblico" è stato invocato e ottenuto per "salvare" gli istituti di credito rigorosamente privati.
Ora la resa dei conti sembra farsi ogni giorno più vicina. Il fatto che alcune voci del bilancio pubblico (persino tedesco) siano considerate intangibili e altre sacrificabili non ha nulla a che vedere con le leggi dell'economia, ma solo con la lotta fra classi diverse e con il potere di decidere chi debba essere "asfaltato" dal rullo compressore della crisi.
In questa condizione sistemica, attendersi che un "governo progressista" possa decidere cose diverse è una pia illusione. Chiedete a Tsipras, che ne sa qualcosa...
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