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02/08/2016

Yemen - Il governo si ritira dai negoziati in Kuwait

La delegazione del governo yemenita ha abbandonato ieri i negoziati di pace in Kuwait dopo il netto rifiuto degli houthi al piano avanzato dall’Onu. La decisione, raccontano fonti locali, sarebbe stata presa a seguito di un incontro con l’inviato Onu delle Nazioni Unite in Yemen, Ould Shaikh Ahmad. “Lasciamo dopo aver fatto la nostra parte nei colloqui” ha detto il portavoce Mohammad al-Emrani all’Afp. “La palla – ha aggiunto – passa ora ai ribelli. Spetta a loro ora decidere se far fallire o meno le trattative in Kuwait. Se aderiscono al piano Onu, la nostra delegazione ritornerà”.

Secondo il piano proposto dal Palazzo di Vetro, i ribelli sciiti (sostenuti ufficialmente dall’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, ma ufficiosamente anche dall’Iran) dovrebbero ritirarsi dalla capitale Sana’a e dalle due principali città del Paese, consegnare le armi e restituire le istituzioni statali occupate nel settembre 2014. Una posizione inaccettabile per gli houthi. A loro giudizio, infatti, sono necessari prima due passaggi fondamentali: la formazione di un governo di unità nazionale e la nomina di un presidente che, godendo del consenso delle parti in lotta, possa guidare la transizione politica.

La decisione del governo guidato dal presidente Hadi (con capitale “temporanea” nella storica capitale di Aden nel sud del Paese) poco cambia la sostanza dei fatti: da quando lo scorso aprile sono iniziati i negoziati in Kuwait, infatti, non si sono registrati avanzamenti di alcun tipo. Pur il cessate-il-fuoco concordato si è dimostrato un totale fallimento: in Yemen si continua a morire incessantemente da quando, il 26 marzo 2015, una coalizione sunnita a guida saudita ha iniziato a bombardare le aree occupate dagli houthi.

Diciassette mesi di conflitto che hanno causato oltre 6.400 vittime (dati Onu, ma non sono aggiornati da tempo) e creato un esercito di sfollati stimato in oltre 2,8 milioni di persone. Se si aggiunge a questo contesto già di per sé drammatico il fatto che il Paese vive un caos politico, sociale e istituzionale dal 2012 (da quando ripetute proteste di piazza hanno portato alla caduta dell’uomo forte Saleh) e che lo Yemen già prima della guerra era uno stato poverissimo, appare evidente come le condizioni dei civili siano drammatiche e, va da sé, siano inaccettabili i silenzi dei governi occidentali (alleati di ferro di Riyad) e della gran parte della stampa internazionale.

Una situazione molto instabile dove a trarne profitto sono state finora principalmente le forze jihadiste (il ramo locale di al-Qa’eda e il cosidetto “Stato Islamico”). Ma il conflitto non si limita al territorio yemenita: negli ultimi giorni c’è stata una escalation di violenza al confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita. Nella sola giornata di ieri 4 persone sono state uccise (2 i feriti) quando un colpo di mortaio lanciato dal lato yemenita è esploso nel villaggio di Samtah (nella regione saudita sud occidentale di Jizan). Il giorno prima, invece, un pesante scontro a fuoco tra houthi e guardie di frontiere saudite ha causato la morte di sette militari di Riyad e una dozzina tra i ribelli.

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