Zitti zitti, come si usa nelle cospirazioni alle spalle della popolazione, siamo entrati nuovamente in guerra. In Libia, alle porte di casa. Ufficialmente contro l’Isis, in specifico contro la zona di Sirte (città natale di Gheddafi, ora “capitale” di Daesh nel paese). Ma con il caos di fazioni caratterizzante la Libia di oggi, non si può davvero dire chi sia il nemico e per quanto tempo.
Per ora l’aviazione italiana non ha mosso né un uomo né un aereo. A ben vedere non ha neanche messo a disposizione una base militare a supporto del primo attacco, compiuto ieri da caccia statunitensi. Ma il first strike americano – precisa l’esperto di servizi segreti di Repubblica, Carlo Bonini, riferendo fonti anonime del governo italiano – è “solo l’inizio” di una lunga campagna che richiederà certamente anche l’impegno diretto delle forze armate italiane: “la prossima volta la richiesta di Tripoli potrebbe essere fatta direttamente all’Italia ovvero l’Italia potrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo”.
Ah, già... Tutto si regge sulla “richiesta di Tripoli”, ovvero sul governo fantoccio guidato da Serraj, paracadutato direttamente da mezzi aeronavali occidentali e per diversi giorni “protetto” a bordo di una nave al largo delle coste libiche. Finite le trattative con le fazioni che lo hanno poi accettato come “premier”, si è potuto poi insediare come “governo libico riconosciuto”. E quindi cominciare a pensare alle modalità e i tempi con cui avrebbe potuto “richiedere” l’intervento militare occidentale (nel frattempo truppe Usa e francesi sono già operative a terra, tanto che Parigi ha dovuto ammettere le prime perdite tra le sue fila). Il fantoccio ora ha avuto gli input giusti e quindi anche questa guerra ha il suo pasticciato “crisma della legittimità internazionale” (un intervento militare è “legittimo” quando viene richiesto da un governo riconosciuto a livello internazionale, con un evidente corto circuito tra soggetti che “riconoscono” e soggetti “riconoscenti”).
Ora il dado è tratto e si spara.
Sul piano militare la situazione è al limite del ridicolo. Stando alle notizie “ufficiali”, a Sirte ci sarebbero al massimo un migliaio di miliziani combattenti dell’Isis. Contro questo nulla, dotato di armi leggere e qualche postazione di contraerea, si muove una folta “delegazione militare” delle principali potenze dell’Occidente. Se dovessimo dar retta alle fonti governative, tutto si dovrebbe concludere in poche ore.
Ma la partita libica è molto più complicata, come si diceva, perché molte sono le tribù locali (inutile cercare in quel paese la “società civile”; quella che c’era al tempo di Gheddafi è stata spazzata via dagli stessi bombardieri di oggi...) e molti gli interessi occidentali, tanto che più o meno apertamente si parla di una futura spartizione di “zone di influenza”, con Usa e Italia basate a Tripoli, l’Egitto schierato con il generale Haftar in Cirenaica e i francesi a controllare il Fezzan, a sud, al confine con il Ciad.
Anche l’Italia, si diceva, andrà a sparacchiare nel caos libico, ma il governo Renzi non ci tiene a informarne la popolazione. La scarsa enfasi – eufemismo... – posta sull’apertura delle operazioni militari viene giustificata con la necessità di “non sovraesporre” il nostro paese in un momento delicato, quindi di non farne un bersaglio di attentati, come la Francia o la Germania.
Bisogna però essere veramente ingenui per crederci. L’Isis, bersaglio ufficiale di questa guerricciola, non ha davvero bisogno dell’“enfasi” mediatica in Italia per sapere quali sono i paesi componenti la coalizione che lo sta attaccando in Libia. Non ci verranno insomma risparmiati attentati solo perché sui media italiani non se ne parla troppo...
Diciamo che ora, in questa guerra, la Francia di Hollande potrà sentirsi “meno sola”. Il che significa una cosa un po’ meno gradevole: che i futuri attacchi potrebbero essere equamente spartiti tra i diversi membri della nuova “coalizione di volenterosi”.
Quando avverrà, sapremo chi ringraziare...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento