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05/11/2016

Il naufragio dell’Europa nel silenzio dell’Africa

I sei bambini dell’ultimo naufragio si sono presi per mano per darsi coraggio. Sono scesi assieme nel limbo del mare che custodisce la città sommersa. Lì si gioca a nascondino tra i relitti delle navi e le bandiere delle Nazioni Europee. Ci sono leggi a parte e un parlamento composto solo da donne e bambini. La presidenza è a turno e solo per organizzare feste tra amici. Alcuni hanno cominciato un campionato di calcio parallelo. Non ci sono perdenti e in porta gioca una ragazza che indossa la maglia dello Gambia. Gli spettatori sono migliaia e l’ingresso è gratuito per tutti. Nella città sommersa non si chiedono documenti e la cittadinanza è riconosciuta senza alcuna formalità. Alla domenica c’è chi va a messa prima per essere libero il resto dello giornata. Negli altri giorni invece sono disponibili un paio di moschee che, sottovoce, invitano alla preghiera i fedeli che preparano il pellegrinaggio marino. Nella città sommersa c’è sempre una luce accesa anche di notte. Un faro subacqueo che indica la rotta da seguire per arrivare al porto seguente.

Il naufragio dell’Europa non data di oggi. I campi di concentramento, di sterminio e di pulizia etnica hanno trovato nella culla della civiltà occidentale un terreno fecondo. Le colonie, la rivoluzione industriale e le filosofie umaniste hanno rappresentato l’altra faccia della moneta. Quella dello sfruttamento nella creazione dell’accumulazione primitiva, secondo le note leggi dell’economia. Le guerre e il corredo di rifugiati, sfollati e morti ne hanno costellato la storia. Europa del naufragio che assomiglia ad una zattera che il vento della storia spinge sulla scogliera. Si difende da nemici immaginari per giustificare le cannoniere. Si perde nel consumo indefinito di merci inutili che continua a presentare come l’unica possibile salvezza. Il mare che la separa dall’Africa è diventato un filo spinato di onde stagionali. Un morto ogni 47 arrivi per recintare il cimitero tra le sponde dove si nascondono i turisti per la vergogna. Le frontiere dell’Europa diventano sabbie mobili nelle quali affondano i passi del domani. La morte si sconta vivendo.

La città sommersa non ha bisogno di spettacoli per passare il tempo. Gli uomini allevano perle e stelle marine. Si sposano nella stagione migliore per avere nuovi invitati. I cortei di nozze non fanno distinzione di colore o nazionalità. Basta trovarsi nel profondo del mare per sentirsi fratelli e sorelle. Il cimitero si trova sulla terra ferma e sono le barche a vela che traghettano i sommersi. Le poche scuole che funzionano sono gratuite e si imparano i mestieri più nobili. Falegnami, muratori, orefici e soprattutto poeti. Si formano cori spontanei e ognuno parla nella propria lingua. Tutti capiscono senza bisogno di traduttori o interpreti. Le abitazioni sono fatte a mano e a misura di famiglia. Per i compleanni corre presto la voce, ci si riunisce in piazza e si danza fino all’alba. La banda musicale improvvisa inedite melodie di pace. La città sommersa è fatta di nomi scritti nel mare.

Il silenzio dell’Africa non data di oggi. Farabutti e politici da strapazzo che vi siete insediati per rapinare e che tacete per viltà: siete correi di assassinio. Nell’Africa del Nord trattate i neri come schiavi e in Libia li bastonate umiliandoli. Avete imparato bene la lezione e non siete più passivi esecutori di comandi. Non lo siete mai stati, d’altra parte. Stolti e ladri, non avete niente da invidiare ai sicari occidentali vostri amici. Vi siete lasciati comprare, mercenari e prostituiti ai soldi di chi meglio vi paga. Tacete mentre i vostri migliori figli se ne vanno a morire e vengono prima spogliati lungo la strada. Impiegati, doganieri, statisti, imprenditori di affari religiosi, gendarmi, intellettuali, ministri e deputati. Siete dei criminali che il complice silenzio davanti ai morti condannerà all’esilio. Solo i liberi cittadini della città sommersa potranno, forse, un giorno, perdonarvi.

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