“La crisi consiste (...) nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. E’ quanto scriveva Antonio Gramsci nel 1930 in una nota scritta nel carcere in cui lo aveva rinchiuso il regime fascista.
Come abbiamo più volte avuto occasione di scrivere – ne discuteremo a Roma il 17 e 18 dicembre in un forum convocato dalla Rete dei Comunisti – quello che stiamo vivendo è un altro passaggio di fase storica in cui, appunto, il vecchio assetto sta morendo ma quello nuovo ancora non è chiaro come si configurerà.
E nel contesto attuale i fenomeni morbosi certamente non mancano, a partire da quel Matteo Renzi la cui parabola è stata bruscamente interrotta ieri da una mobilitazione popolare inaspettata e sul quale occorre riflettere. Quel 70% circa di partecipazione al referendum segnala inequivocabilmente che nella società italiana esiste ancora un tasso di reattività importante nei confronti delle politiche “lacrime e sangue” imposte dall’Unione Europea e incarnate in maniera arrogante e feroce dal guitto di Rignano.
Quello di ieri è un voto che non può non essere considerato in piena continuità con quanto accaduto già in altri paesi del campo occidentale e imperialistico: dalla vittoria dell’Oxi in Grecia all’affermazione della Brexit a Londra, dall’esplosione di movimenti e partiti “populisti” e di “protesta” in numerose tornate elettorali fino all’imposizione dell’outsider repubblicano Donald Trump negli Stati Uniti. Si tratta di manifestazioni per lo più difensive di scontento, in alcuni casi di rivolta nei confronti della gestione antipopolare della crisi manifestatasi a livello finanziario ormai otto anni fa, un messaggio rivolto a quelle classi dirigenti che in maniera sempre più brutale cercano di imporre i loro interessi e i loro piani bypassando il consenso popolare e attraverso politiche di tipo autoritario. Si tratta di manifestazioni di tipo spesso spurio, contraddittorio, in cui l’egemonia delle pulsioni di destra o schiettamente reazionarie è spesso netta, anche perché quasi ovunque le forze “progressiste”, non solo socialdemocratiche ma anche di “sinistra radicale”, hanno fatto la scelta di schierarsi dalla parte dello status quo, del proprio imperialismo, degli interessi strategici di una borghesia sempre più debole e per questo sempre più aggressiva.
E’ un contesto sul quale e nel quale le realtà sociali e politiche antagoniste non possono non intervenire con l’obiettivo di formare un polo di classe che sappia ridare rappresentanza politica a settori sociali ferocemente colpiti e disponibili, seppur fino ad un certo punto, a prendere posizione, e che altrimenti verranno fagocitati da ideologie e messaggi sciovinisti capaci di indicare soluzioni rapide per quanto illusorie.
Assistiamo, come detto, ad un passaggio di fase storica, in cui la crisi di egemonia delle classi dominanti si manifesta sempre più schiettamente, insieme all’incapacità da parte di queste ultime di trovare soluzioni in grado di riportare stabilità al sistema. Neanche l’uso massiccio e sfacciato dei media e dei vip è più in grado di impedire le continue debacle delle classi dominanti.
In un quadro del genere i comunisti non possono certo stare a guardare. Quello di ieri non è stato soltanto un voto contro Matteo Renzi – responsabile di alcune tra le controriforme più feroci degli ultimi decenni – e contro il tentativo di golpe costituzionale del Pd, ma anche contro l’Unione Europea e i suoi diktat. La valanga di No rappresenta uno schiaffo anche a quelle banche e a quelle istituzioni finanziarie – JP Morgan in primo luogo – che avevano indicato come prioritario l’obiettivo di manomettere le ‘costituzioni antifasciste” considerate, a ragione, “inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”.
Un risultato dal quale ripartire immediatamente e con forza, rafforzando e concretizzando la formazione nel nostro paese di un movimento politico e sociale in grado di porre all’ordine del giorno la rottura dell’Unione Europea in una prospettiva di classe e internazionalista. Nella contingenza referendaria c'è stata una mobilitazione importante di forze attorno al “NO Sociale” che ha prodotto due giornate di sciopero e mobilitazione generale, il 21 e 22 Ottobre, importantissime; adesso va ripresa con ancor maggior vigore le lotta per la rottura dell'Unione Europea e per questo la Piattaforma Sociale Eurostop si mobiliterà già dai prossimi giorni per rilanciare l'iniziativa di lotta che dovrà andare oltre la "morbosità" del giovane Renzi.
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