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05/12/2016

Vinta una battaglia, la guerra continua


E anche Renzi è stato rottamato. La vittoria del NO alla controriforma costituzionale, pur in qualche modo prevista, ha assunto subito dimensioni straordinarie, tale da rendere impossibile qualsiasi tentativo di restare al comando di una compagine governativa che aveva ormai assunto l'aspetto e i comportamento di una banda di rapinatori-piazzisti.

Lo stesso discorsetto d'addio ha dipinto plasticamente la nullità del personaggio, che ha ammesso soltanto di non aver saputo vendere il prodotto – la riforma costituzionale – che qualcun altro (Napolitano) aveva malamente confezionato.

Siamo felici di aver attivamente partecipato a questa battaglia vincente con uno sciopero generale riuscito al di là delle pur ambiziose speranze, una manifestazione nazionale – il 22 ottobre – che aveva dato volto e corpo al NO SOCIALE, e poi centinaia di iniziative, volantinaggi, lavoro di strada... Fino al festoso “assedio” di Palazzo Chigi di lunedì sera, in cui ha brillato l'assenza dei “Comitati per il NO” ufficiali, rimasti al chiuso delle sedi ad attendere un risultato che non si aspettavano, lontani – come sempre – da chi è costretto a subire le conseguenze delle scelte politiche e antipopolari.

Siamo consapevoli che a vincere è stata un'accozzaglia di soggetti politici opposti tra loro, ma siamo altrettanto consapevoli che si è trattato di un NO uscito soprattutto dal nostro blocco sociale, composto da lavoratori poveri e con le più diverse tipologie di contratto, precari, disoccupati, senza casa, finte partite Iva, “imprenditori di se stessi”... L'eccezionale affluenza al voto – il doppio dell'ultimo referendum, quasi pari a quella delle elezioni politiche del 2013 – e soprattutto lo straripante NO decretato dalle periferie metropolitane, danno a questo risultato un chiarissimo segno di classe.

Le uniche eccezioni vengono dalle ex “regioni rosse”, Toscana ed Emilia Romagna, dove buona parte di quello che una volta era definito il “popolo della sinistra” si comporta ancora come i lemmings dietro un pifferaio piduista infilato nei panni dell'ormai mitologico “segretario del partito”.

Un attacco è stato respinto, dunque. Se avesse vinto lo schieramento golpista del sì, con l'attribuzione di poteri eccezionali al governo e una legge elettorale fatta per escludere qualsiasi spazio efficace a qualsiasi opposizione, avremmo visto le “zone rosse” di polizia arrivare fin sulla porta di casa. Di tutti.

Ma non sono cambiati i rapporti di forza sociali. Il nostro blocco sociale non ha una rappresentanza politica e anche quella sindacale, pur in forte crescita, è purtroppo ancora lontana da quanto richiederebbe la portata dei processi in atto. Comitati e movimenti, locali o tematici, esprimono un radicamento territoriale e/o sociale, ma non riescono ad attingere a una dimensione politica generale. C'è capacità diffusa di conflitto e resistenza, manca lo scatto di intelligenza per farne un soggetto con forza politica, innervamento sociale, progetto di trasformazione, prospettiva concreta.

Anche dall'altra parte c'è però un'accozzaglia di interessi e progetti diversi. Di certo abbiamo visto con chiarezza che il “sì” alla rottamazione della Costituzione è stato pesantemente sponsorizzato dall'Unione Europea, dagli Stati Uniti, dai mercati internazionali, dalle imprese multinazionali, da Confindustria e da quel milieu politico-clientelar-mafioso che aveva trovato in Renzi il punto di mediazione tra interessi profondamente diversi.

Il tentativo appena battuto è stato quello di tenere insieme le “riforme strutturali” pretese dalla Troika europea e i tradizionali interessi locali, veri responsabili della particolare gravità della crisi italiana pur in un contesto di crisi generalizzata del sistema. Tra austerità e spesa pubblica corruttiva, insomma. Era il tentativo di comprare a poco prezzo (“80 euro”) il consenso di alcuni settori sociali alle politiche che stanno ridisegnando le catene del valore e della ricchezza nel Vecchio Continente. Era il tentativo di salvare i vecchi grumi di marciume – che andrebbero eliminati in un sol colpo di ramazza, anche dal punto di vista di Bruxelles – scaricando per intero i costi delle “riforme strutturali” sul lavoro dipendente in ogni sua forma, privandolo quindi di un salario dignitoso, degli istituti del welfare (sanità, pensioni, istruzione), dei diritti sia sul lavoro che nella politica. Fino a predisporne l'espropriazione del diritto di voto, manifestare, protestare.

Jobs Act, “buona scuola”, mutuo per andare in pensione in anticipo, salvataggio delle banche e non delle persone, distruzione delle prospettive per le giovani generazioni – qui come in Gran Bretagna o negli Stati Uniti – hanno prodotto una reazione di rigetto potente, ma strumentalizzabile.

Fallita la “mediazione” renziana, questi grumi di interessi diversi dovranno trovare nuovi equilibri interni. Ed è facile capire che le alternative tendono anche qui a divaricarsi. La pressione dei mercati e dell'Unione Europea va in direzione di un rafforzamento della centralizzazione delle decisioni rilevanti in sede “comunitaria”. La vandea clientelar-mafiosa e l'universo delle imprese incapaci di “globalizzarsi” sarà tentata di rifarsi una verginità sovranista, allineandosi con più nettezza all'onda dei movimenti nazionalisti.

Due nemici diversi del nostro blocco sociale, nonché di tutti i popoli d'Europa, ma egualmente disposti a tutto pur di prevalere o sopravvivere.

Da oggi in Italia, infatti, non esiste più alcun partito politico nel vecchio senso del termine. Il Pd rovina al suolo insieme al suo dispotico "scalatore", che ora dovrà solo decidere se usarne i resti per una complicata prospettiva di rivincita, oppure togliersi dai piedi e darsi alla bella vita. I suoi consulenti ai vertici delle banche o della Troika non mancheranno comunque di pilotarlo come sempre, secondo i propri interessi.

Di fatto, però, la politica italiana – quella dentro e intorno ai palazzi del potere – è da oggi un accampamento deserto attraversato da gruppi di saccheggiatori alla ricerca di sponsor sufficientemente forti da mantenerli in campo. Gente senza progetti, senza idee, senza onore ma pronta a tutto. Massa di manovra, soprattutto parlamentare, fino alle prossime elezioni, disponibile per qualsiasi lavoro sporco.

Diceva giustamente Giorgio Cremaschi venerdì scorso in piazza che il Si avrebbe rovinato tutto ma che non bastava un NO per ripartire.

L'esperienza del NO SOCIALE e di tutte le altre forme di antagonismo messe in campo questo autunno sono una buona base di partenza per provare a costruire una soggettività più coesa, intelligente, conflittuale verso i nemici e solidale al proprio interno. Una soggettività capace di mettere al centro prassi e idee di cooperazione, cancellando le vecchie corbellerie della “competizione interna”. Una soggettività capace di pensare la trasformazione generale (del paese, dell'area mediterranea ed europea), fuori da ogni egemonismo da cortile.

Non è un appello alla “buona volontà”. È il riconoscimento di una necessità senza alternative.

Chi volge ancora la testa al passato, sperando di poter riprendere il solito tran tran, di continuare ad occuparsi delle solite cose, è semplicemente fottuto ancora prima di uscire di casa.

Cacciato Renzi, portata a casa una vittoria di Resistenza, ora il gioco si farà più duro. Con altre regole, tempi, schemi. Perché quella roba lì (finanza globale, imprese multinazionali, tecnoburocrazia europea, Troika, filiere clientelar-mafiose, ecc.) non stanno a perdere tempo.

E invece a voi piace? A noi no.

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