Quanto successo stanotte viene definito dai media regionali e
internazionali come il più grave incidente tra Siria e Israele dal 2011,
l’inizio della guerra civile siriana. Se numerose sono state le
operazioni israeliane sul territorio siriano, anche vicino Damasco,
spesso con target Hezbollah, lo scambio di fuoco di ieri notte ha
coinvolto anche il territorio israeliano.
Ieri notte quattro aerei dell’aeronautica di Tel Aviv sono
penetrati in Siria e hanno lanciato diversi missili. Damasco ha reagito
con i sistemi di difesa aerea e rispondendo con missili contro i jet
militari israeliani. Nessuno di questi ha colpito i caccia, ma uno di loro è arrivato a nord di Gerusalemme dove è stato intercettato dal sistema di difesa israeliano Arrow,
mentre le sirene di avvertimento sarebbero risuonate nella Valle del
Giordano. Secondo Damasco, invece, uno dei missili ha abbattuto un
caccia nei pressi di Palmira.
L’altro elemento nuovo è l’ammissione immediata dell’esercito
israeliano: a differenza delle smentite precedenti, stavolta – in una
dichiarazione che il quotidiano Haaretz definisce “eccezionalmente rara” – ha ammesso di aver violato il cielo siriano con i caccia.
Ogni precedente operazione, intorno Damasco e a sud, che ha avuto nel
mirino convogli di Hezbollah ma anche i suoi leader: un anno fa, nel
maggio 2016, Israele uccise Mustafa Badreddine, comandante militare del movimento sciita libanese, con un attacco aereo nei pressi dell’aeroporto di Damasco.
Prima era toccato ad un simbolo del movimento libanese, Samir Kuntar,
prigioniero in un carcere israeliano per 29 anni, e ucciso da missili
israealiani a Jaramana, sobborgo della capitale siriana alla fine del
2015.
L’interesse israeliano per la guerra civile siriana è stato da subito
significativo. Non per il timore di un contagio che non c’è mai stato, a
differenza degli altri paesi vicini travolti o comunque toccati dal
flusso di gruppi jihadisti o dalle instabilità interne dovuto all’arrivo
di milioni di profughi.
Per Tel Aviv la guerra civile è stata la migliore occasioni
per liberarsi dell’asse nemico, Hezbollah-Damasco-Teheran. Non ha potuto
gioire però perché il risultato sperato non è stato archiviato. Oggi,
dunque, l’obiettivo di Tel Aviv – sconfitta dalla guerra come Riyadh e
Ankara – è evitare un eccessivo rafforzamento iraniano ai suoi confini nord.
Nelle stesse ore nel nord del paese un bombardamento aereo
centrava una moschea nell’ora della preghiera: almeno 42 i morti secondo
fonti locali nel villaggio di al-Jina, provincia di Aleppo, ma potrebbero essere di più con i soccorsi impegnati a tirare fuori corpi dalle macerie. Responsabile dell’attacco sarebbe la coalizione a guida Usa anti-Isis che però nega:
i jet non hanno colpito una moschea ad Aleppo, ma un meeting di
al-Qaeda ad Idlib. Ora, fa sapere l’esercito Usa, è in corso un’indagine
per verificare se sono stati commessi errori: secondo il colonnello
Thomas, portavoce del comando centrale Usa, “non abbiamo centrato una
moschea ma un edificio a 15 metri, la moschea è ancora in piedi”. Senza
specificare a quale moschea si riferiscono.
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