Di certo i cambiamenti climatici,
innescati da un modello di sviluppo non sostenibile, stanno provocando
precipitazioni concentrate e intense, come quella che si è verificata a
Livorno nella tragica notte del 9 settembre.
Il disastro ha però un altro principale
responsabile, secondo il Dossier realizzato dalla Lipu con la
collaborazione degli architetti Simona Corradini (dottore di ricerca in
pianificazione urbana, territoriale e ambientale) e Alexander Palummo
(Università di Firenze), che sono le scelte urbanistiche avvenute negli
ultimi 20 anni. Una cementificazione di cui le testimonianze principali
sono la costruzione di nuovi quartieri residenziali e di aree
industriali e commerciali: Banditella, Leccia, Scopaia, Salviano,
Magrignano, Porta a Terra, Viale Boccaccio, Picchianti.
Qualche anno fa si sarebbe dovuto
fermare questo consumo di suolo, destinando a verde urbano i terreni
aperti che ancora restavano non impermeabilizzati con asfalto e cemento.
Ciò considerando che la popolazione del comune di Livorno è in calo:
171.265 abitanti al 31 dicembre 1990 scesi agli attuali 158.699;
pertanto non vi è una richiesta abitativa correlata alla popolazione
residente.
Queste aree aperte emergevano con
chiarezza nell’Atlante ornitologico urbano degli anni ’90; all’epoca
erano occupate da oliveti, orti, incolti e cespuglieti, tutti terreni
permeabili in grado di filtrare e immagazzinare le acque piovane fino al
95%, contrastando così allagamenti e alluvioni.
Però le indicazioni della Lipu e degli
ambientalisti di mantenere questi habitat non sono state tenute di
conto, perché le scelte urbanistiche sono continuate nella stessa
direzione, consentendo anche la costruzione del centro commerciale Parco
Levante (Nuovo Centro) che invece doveva diventare verde pubblico.
Questo terreno è posto in riva sinistra del Rio Maggiore, che poco più a
valle è tombato, e proprio qui è esondato causando il maggior numero di
vittime. Diversamente, sarebbe stato una cassa di espansione ideale per
contenere la grande massa di acqua.
Parallelamente continuiamo a sentire
voci sull’esigenza di “pulire” i fiumi, ma si tratta di capire cosa ciò
significhi, perché in realtà le piante rallentano la velocità delle
acque e con le radici trattengono le sponde, mentre invece da anni
vengono sistematicamente eliminate da tutti i corsi d’acqua presenti nel
territorio.
Il Dossier di Lipu e collaboratori
propone agli enti pubblici l’adozione di un modello sostenibile per il
drenaggio delle acque, che mantenga lo spazio necessario ai corsi
d’acqua - evitando di costruire a ridosso degli alvei - bloccando
concretamente il consumo di suolo nelle zone periferiche e sulle
colline, ma anche alla piccola scala, evitando quindi una ulteriore
densificazione del tessuto urbano. Occorre anche sviluppare una serie di
terreni esondabili (zone umide, bacini di bioritenzione, fasce tampone con piante arboree ed arbustive)
inclusa la valorizzazione delle aree verdi, comprese quelle residuali
come gli orti di Via Goito, per le quali si auspica l’istituzione di
oasi urbane.
Infine, occorre gestire il verde urbano
con un approccio tecnicamente corretto, sostenibile ed ecologico,
evitando gli abbattimenti di alberi (quando non strettamente necessario)
e ponendo fine alla inaccettabile pratica della potatura tramite
capitozzatura, che eliminando gran parte delle chiome di alberi e siepi
compromette i servizi ecosistemici che sono vitali per assicurare la
qualità urbana. Tali benefici psico-fisici includono il miglioramento
dell’aria, che a sua volta influisce sui cambiamenti climatici, e quindi
sul ciclo dell’acqua.
Come per dire: occorre una visione
ecologica e d’insieme, perché la nostra esistenza è strettamente
collegata a quella degli altri esseri viventi, nonché ai meccanismi che
governano la vita sul Pianeta Terra.
Marco Dinetti, Responsabile Ecologia urbana Lipu
4 ottobre 2017
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