06/10/2017
Nuove identità mimetiche
Nonostante il trionfo di immagini socializzate, a sinistra la questione catalana continua a mietere dissensi trasversali. Un trentennio abbondante di demonizzazione dello Stato nazionale ha impedito un aggiornamento del dibattito politico, ritrovandoci oggi afoni rispetto alle insorgenze (popolari, conflittuali o solo elettorali) che da più parti in Europa rivendicano – da sinistra – un’attenzione alla questione nazionale. Che non ha più i caratteri ottocenteschi della “liberazione dei popoli” o quelli novecenteschi della lotta al colonialismo, ma che merita indagini meno vincolate ideologicamente. Il cosmopolitismo ordoliberale, nella sua pervasiva capacità di insinuarsi tra le pieghe del pensiero comune, costruendo un’egemonia di senso apparentemente inscalfibile, ha fatto il resto: la questione nazionale è per definizione appaltata alla destra, alla reazione, al revanscismo. Questo è però un fatto relativamente nuovo, databile più o meno con la fine degli anni Settanta. Prima il marxismo era riuscito ad esprimere non tanto una sintesi, ma un dibattito originale, capace di legare l’aspetto sociale e quello nazionale, smascherando il nazionalismo ma salvaguardando quel tanto di progressivo che lo Stato nazionale portava con sé in termini di diritti di cittadinanza, di inclusione pubblica delle masse subalterne, di riconoscimento formale delle classi in lotta.
Non è il “bel tempo che fu”, ma sarebbe anche l’ora di riconoscere nel progressivo smantellamento dello Stato nazionale un passo indietro generale delle condizioni di classe. Il discorso non si risolve guardando all’indietro, ma neanche negando in partenza alcuni dati di fatto ormai acclarati: il superamento del concetto di nazione sta avvenendo da destra, non da sinistra, ed è un problema, non l’inizio della soluzione.
Il processo catalano conferma un indizio che in questi anni si va ripetendo piuttosto frequentemente. La questione nazionale maschera una questione sociale, e questa non ha più (solo) i tratti del risentimento piccolo-borghese su cui si fondava parte del nazionalismo novecentesco di destra. La questione sociale mimetizzata dal nazionalismo riguarda in tutto e per tutto le classi popolari, il proletariato occidentale.
La Catalogna in tal senso smaschera l’incapacità della sinistra spagnola di fare propria la questione sociale alla base dell’indipendentismo. Ci sarebbe stato, e forse ci sarebbe ancora, il modo di arrestare il processo separatista in chiave progressiva. Basterebbe intestarsi e generalizzare la battaglia per la Repubblica, ad esempio, rompendo definitivamente il patto dell’oblio e del silenzio su cui si fonda la a-democrazia spagnola. Perché (e purché) la Repubblica, la terza, non si risolverebbe nel formale passaggio di consegne istituzionale: aiuterebbe a risolvere il marchio di fabbrica della Spagna post-franchista, quella per cui al vertice delle istituzioni, della magistratura così come delle polizie, dell’esercito così come dei ministeri, permane la stessa classe dirigente franchista mai transitata per un processo pubblico o per una condanna storica. Basterebbe riconoscere la legittimità delle lotte indipendentiste della Catalogna, della Galizia, dei Paesi baschi, evitando la criminalizzazione che in questo quarantennio post-franchista ha colpito soprattutto in Euskal Herria, terra di fosse comuni e di squadroni della morte, di esecuzioni mirate e di ergastoli preventivi, di leggi speciali e di terrorismo psicologico. La democratizzazione di una nuova Spagna passa per la fine dell’illegalizzazione della lotta politica in Euskal Herria. Eppure la vecchia Spagna si è costruita su questa distonia, sulla cittadinanza duale. Spezzare questa differenza dovrebbe essere la base del discorso politico di sinistra in tutto il paese.
Una nuova Repubblica democratica e antifranchista è un discorso che riguarda tutta la Spagna, non solo la Catalogna, eppure si percepisce reale solo nelle lotte indipendentiste, per un motivo d’altronde elementare: nella lotta per l’indipendentismo anche la borghesia al potere agita tali elementi di democratizzazione in chiave anti-spagnola. Agita pezzi di verità cosciente di poter cavalcare il processo di separazione senza spezzare la corda del proprio status sociale, delle proprie rendite di posizione. Ma i processi storici, una volta avviati, possono prendere pieghe inaspettate. E’ in queste pieghe che la sinistra comunista catalana gioca la sua partita. Non svelare questa mimesi significa leggere con gli occhi rivolti al passato dei fatti nuovi che vanno interpretati con punti di vista originali.
A latitare nello scontro tra Spagna e popolo catalano non è l’intelligenza repressiva franchista, ma la sinistra spagnola subalterna al patto dell’oblio.
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