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07/10/2017

“Il caos in Spagna spinge la borsa tedesca verso il record”

La ripresa catalana e la J curve

Il testo virgolettato con il quale l’articolo si apre è il titolo di una pagina finanziaria di una nota testata tedesca. A dimostrazione, se ne ce ne fosse ancora bisogno, che crisi politiche e crisi finanziarie vanno lette con occhi attenti magari cogliendo, tra le due dimensioni, i legami reali e non quelli dettati da una galoppante immaginazione politica. Come qui abbiamo già detto, la crisi ispano-catalana è un riflesso diretto del crack del 2008, sostanziatosi in Spagna con il cortocircuito del nesso banche-immobiliare, al quale è seguita una dura ristrutturazione (2009-2013), con successivo recupero in termini di Pil e di occupazione (precaria).

Tecnicamente (se la parola ha un senso) la crisi ispano-catalana è quindi avvenuta con il Pil in ripresa e non da pochi giorni. Le spiegazioni, grosso modo, sono almeno due. Anche sovrapponibili tra loro. La prima riguarda la composizione di questo Pil “recuperato” in tre anni. Probabilmente non sufficiente per mantenere l’equilibrio sociale dopo un periodo di choc. Comunque, se guardiamo il Pil Catalano, la ripresa rispetto agli anni più duri della crisi bancaria-immobiliare è netta.

Il punto è chiedersi se questo tipo di ripresa sia stata funzionale alle evoluzioni e alle esigenze di quella parte di società catalana che spinge per l’indipendenza. E questo ci introduce alla seconda questione. Quella che riguarda il fenomeno che lo storico della rivoluzione inglese Lawrence Stone chiamava “J curve”. Stone, che era stato studente alla Sorbona durante il maggio ’68,  esprimeva una propria teoria delle rivoluzioni che, grosso modo, era così: è esattamente dopo un periodo di depressione, quando la curva della ripresa economica comincia a salire (formando una “J”), che si scatenano quelle energie innovatrici, e insorgenti, di una società che trovano slancio grazie, anche, a migliorate condizioni sociali.

Sovrapponendo le due modalità di spiegazione si legge una società catalana, che è la più economicamente avanzata nel complesso della Spagna, sia frustrata dall'insufficiente ricchezza arrivata dopo la crisi, sia esaltata dalle possibilità intraviste dopo la crisi. Sovrapponendo queste modalità di lettura della crisi al complesso della stratificazione sociale catalana, articolata come in ogni società occidentale, si capisce molto di quanto è accaduto sul piano della spinta al cambiamento.

Non è nemmeno da trascurare il fatto come in Catalogna, che riassume il 6% della superficie complessiva della Spagna, siano oggi concentrate il 56% delle startup dell’intero paese iberico. Innovazione politica e innovazione tecnologica si tengono spesso per mano, specie se concentrate in regioni ben delimitate. Se vogliamo rispondere alla domanda, una di quelle che si pongono i criminologi indagando su devianza e innovazione, “chi ha veramente potere nella società quando cambia qualcosa”, sicuramente dobbiamo, in questo come in altri casi, indagare quanto accaduto dopo la fase di crisi causata del 2008. Quali poteri hanno preso il sopravvento dopo la crisi, quanto Pil  è mancato davvero, quanta “J curve”, intesa come forza di un paese che si rialza e non vuol saperne più del passato, c’è in questi processi, quanto il peso di una innovazione tecnologica territorialmente concentrata si è fatto sentire.

La stratificazione sociale, e il suo ruolo nelle mutazioni politiche nella vicenda catalana, si legge a partire da domande di questo tipo non con la retorica delle dichiarazioni a effetto. Stiamo parlando di temi essenziali, quasi elementari, ma il distacco, avvenuto da tempo, tra teoria, comunicazione e comportamenti in politica - distacco che ha allontanato tra loro tutte queste componenti rendendole singolarmente inefficaci - rende necessarie queste precisazioni.

Il conflitto, le sue sorti e la sua rappresentazione mediatica: la vittoria catalana

Nel conflitto ispano-catalano mettiamo quindi ad analisi una delle regole essenziali del contemporaneo unrestricted warfare, lo stato di guerra senza limiti dove ogni ambito della vita umana può essere oggetto di conflitto. Stiamo parlando della regola secondo cui ciò che accade sul campo sia sempre meno decisivo per le sorti di un conflitto. Questo, semplificando di molto, non vuol dire che il “campo” nei conflitti non conti nulla ma, piuttosto, il fatto che la molteplicità di piani decisivi per le sorti di un conflitto si è moltiplicata.

Certo,  il “campo”, nei conflitti radicali nelle società occidentali è cambiato. Lo scontro sul terreno, da tempo, è sempre più condizionato da due regole:  risparmiare, quanto possibile, vite umane e seguire le regole della scenografia mediale su una pluralità di piattaforme. Nell’Europa occidentale non in Siria oggi o in Jugoslavia ieri: anche perché risparmio di vite umane e conservazione dei capitali, delle proprietà in Europa tendono a coincidere e ad essere essenziali.

Inoltre i media, nell’Europa occidentale, che sono l’elemento scenografico naturalizzato nella vita politica, assegnano audience, e quindi consenso (e in ultima istanza potere da spendere) a chi evita spargimento di sangue o a chi lo subisce. Vale quindi, nello spazio Ue, la regola dell’audience di “Fragole e sangue”: il potere che aggredisce spettacolarmente dissidenti e persone inermi ha perso. Nei media occidentali il potere che colpisce legittimamente è quello che lo fa dopo una procedura giuridica o dopo la costruzione di una impetuosa indignazione morale. Altrimenti, ed è una forza che i media sfruttano per essere potere autonomo, il messaggio prodotto è che è stata esercitata una enorme ingiustizia ed il potere è delegittimato. L’uso della forza istituzionale nella società scenografica deve seguire queste regole.

Le azioni sul campo, tanto più in uno stato senza esercito come la Catalogna dove la polizia ha fatto audience positiva per il rifiuto di contenere i manifestanti, sono determinate da quanto accade sui media. Ma, si badi bene non stiamo parlando del “campo” ma dei media. La scenografia politica, che monta le immagini di ciò che accade sul campo, scene di qualsiasi serie tv, è un fenomeno autonomo da quanto accade “sul campo” e capace condizionarlo. Anche perché lo scontro, finora, è a bassa intensità di piazza e ad alta intensità mediatica. L’ideale perché questo piano mediale faccia valere la sua forza nella determinazione di chi sia vincente in un conflitto.

Su questo terreno la Catalogna, nei giorni scorsi, rispetto a Madrid ha stravinto. Qui non valgono le interpretazioni della costituzione spagnola o i problemi logistici di gestione della piazza e nemmeno cosa abbiano davvero fatto i protagonisti di immagini, fisse o in movimento riprodotte su tutte le piattaforme dalle tv a instagram. Vale il fatto che la scenografia politica della sopraffazione, per quanto causata da una violenza odiosa ma di bassa intensità, è stata tutta puntata contro Madrid. Quando accadono queste cose, si crea un campo di forza, definito sbrigativamente opinione pubblica, che fa valore tutta la propria capacità di pressione verso il perdente. In questo caso Rajoy. E’ un piano delle regole del conflitto contemporaneo, non importa a quale livello di intensità, che si fa valere (ben) oltre il conflitto sul campo. Quel piano è stato vinto dagli indipendentisti calatani e ha formato l’oggetto “indipendenza subito” che, comunque vada, determinerà molte cose nella crisi ispano-catalana come accade ai processi di accelerazione degli eventi politici, quelli nei quali si sente l’odore della storia.

Il conflitto finanziario: la vittoria di Madrid

Ma c’è un altro piano, forte tanto da essere persino più decisivo di quello della scenografia politica per determinare l’esito dei conflitti. E’ il piano dei conflitti finanziari. Quello dello strumento finanziario come elemento determinante nell’esito di un conflitto perché decisivo nel controllo delle risorse che determinano il possesso, o meno, di tutte le altre risorse: la moneta e i suoi derivati. Su questo piano, invece è netta la vittoria di Madrid sulla Catalogna.  E in modo tale da poter pregiudicare l’esito di una dichiarazione d'indipendenza catalana persino prima che questa sia proclamata.

E non solo perché, come abbiamo visto, il “caos spagnolo”, come definito dalla stampa tedesca spinge verso l’alto, verso nuovi record, il Dax, indice di borsa di Francoforte. Per motivi, in fondo, intuibili. La crisi spagnola ha spinto verso un leggero deprezzamento dell’euro, va detto anche se certi movimenti degli indici di borsa vanno seguiti nel tempo, quindi la notizia è ottima per le aziende tedesche e la loro capacità di esportazione. C’è poi la naturale affluenza dei capitali dalle zone a rischio ai porti sicuri, che si attiva in caso di crisi, e il fatto che, al momento, crisi spagnola e rialzo del Dax si tengano balza davanti agli occhi. Ma qui non siamo ancora sul piano della guerra finanziaria quanto su quello degli effetti, nel complesso dei mercati europei, della crisi ispano-catalana. Diverso è quando si vedono fenomeni come quello di una azienda quotata in borsa, del settore  biotecnologico, con sede a Barcellona che annuncia di volersi spostare a Madrid. In poche ore il titolo di questa azienda prima sale del 5, poi del 20, poi del  33%.

Non si pensi a chissà quale complotto perché significa non leggere come funziona la forza dei mercati finanziari. Semplicemente, analizzando i conflitti politici (assieme alla composizione del proprio capitale, il tessuto di relazioni dei cda etc.), le aziende reagiscono facendo valutazioni e spostando, attirandole, risorse finanziarie. Così il conflitto ispano-catalano, da politico, spontaneamente diventa finanziario, il piano dove si trova la risorsa, la moneta, che detiene le risorse in ultima istanza. E’ il piano immediato, microfisico della guerra finanziaria che volge a favore di Madrid che ha a favore le forze dei mercati. Tanto più dopo una correzione, al ribasso, del 3% in un giorno che, alla borsa di Madrid, ha punito le aziende esposte in Catalogna. Dopo il piano microfisico, spontaneo, c’è quello pensato come forma statuale del conflitto finanziario. Non a caso Madrid ha approvato, in tutta fretta,  una legge che favorisce lo spostamento delle aziende, e delle banche, dalla Catalogna a Madrid. Sfrutta l’onda finanziaria, magari con l’aggiunta di qualche mossa delle autorità spagnole sui mercati, creatosi secondo la legge che vuole le aziende, e i loro finanziamenti, spostarsi in caso di crisi. E’ il caso del Grupo Planeta, complesso editoriale-mediale (quindi ad alta complessità di finanziarizzazione) che ha già annunciato di potersi spostare velocemente da Barcellona.

Ma non c’è solo la politica del conflitto finanziario di Madrid. Anche Francoforte, lato Bce, si muove in questo conflitto: il Financial Times ha rivelato che il Banco de Sabadell, importante banca catalana, ha deciso di annunciare lo spostamento della propria sede da Barcellona alle Baleari su diretta pressione della Bce. Anche perché il Banco è supervisionato, nella politica del settore, proprio dalla Bce di Francoforte. Chi ha messo le mani sul comportamento della Bce verso le banche greche, durante il braccio di ferro Ue-Tsipras, sa che contraddire Francoforte può essere doloroso per un istituto bancario. Ma non ci sono solo Madrid, e Francoforte, ad agire sul piano del conflitto finanziario per togliere a Barcellona quanto più controllo possibile sulla risorsa oggi primaria, quella finanziaria. C’è anche Berlino, che nel 2012 ha fatto commissariare parte delle banche spagnole (viste come interesse diretto tedesco secondo la Frankfurter Allgemeine di allora).

L’interesse tedesco per normalizzare il caso catalano è perlomeno duplice. Il primo è dettato dal fatto che oltre metà delle 1600 aziende spagnole con capitale tedesco, tra cui molte high-tech, ha sede in Catalogna. Il secondo è che, come scrive l’IFO (un istituto di ricerca con sede a Kiel citatissimo dal mainstream economico tedesco) la Catalogna, e con lei le imprese tedesche presenti in quella regione, è vista dalla Germania come produttrice di ricchezza solo collegata politicamente e amministrativamente a Madrid. Se quindi la borsa tedesca sale, quando il caos spagnolo avanza, non c’è da dubitare che, come avvenuto in passato, la politica del conflitto finanziario di Berlino (dove nell’ottocento si è coniato lo stesso concetto di Finanzkieg, guerra finanziaria) si farà sentire.
 
Barcellona deve quindi ancora mostrare - mentre Madrid, Francoforte e Berlino si stanno muovendo - la propria strategia sul piano decisivo in ultima istanza quello finanziario. E anche mostrare le proprie alleanze globali, se sono ben delineate, altrimenti il rischio è quello di una capitolazione alla greca.

Oltretutto Barcellona deve attivarsi perché  gli interessi sul debito pubblico catalano, per ora alti, non diventino una sorta di martirio pregiudicando il percorso di una possibile indipendenza. E’ la cruda legge dei conflitti unrestricted, senza limiti di oggi: a bassa intensità sul campo, ad alta intensità sul piano mediatico, ad altissima su quello finanziario. Se poi il conflitto sul campo si alza di intensità gli altri si amplificano.

Questi sono i piani del conflitto contemporaneo quando il Pil prodotto appare insufficiente o quando si crea una fascia di benessere che sente come insopportabile il vecchio regime politico o quando entrambi i fenomeni si riflettono sulla complessità della stratificazione sociale.

Certo, prima dell’infame golpe del 1973 in Cile il governo americano, di cui Pinochet era una creatura, utilizzò la propria forza sui mercati finanziari per far perdere valore al rame, patrimonio nazionale cileno, e quindi indebolire il governo Allende. Furono comunque necessari i carri armati dei golpisti per averla vinta sul governo di Unidad Popular. Oggi la dimensione dei mercati finanziari  è così pervasiva che, messo un cordone sanitario fatto di moneta e dei suoi derivati, si fa presto, se non si sanno inventare delle contromisure, a far fare ad un paese la fine della Grecia. Magari vincendo sul piano mediatico, come per i greci, ma arrendendosi senza sparare un colpo. Saper innovare politicamente su questo piano diventa decisivo per la riuscita di una insorgenza politica.

La Catalogna sembra, salvo smentite, avviarsi verso la dichiarazione di indipendenza in questo quadro di conflitti: campo, media, finanza. Molto articolato complesso e, in fondo, ineliminabile per il pensiero politico dei movimenti di massa. Certo, non conforta che l’autore della teoria della “J curve”, quella che vede le insorgenze come frutto anche di un minimo di benessere raggiunto che rende insopportabile il vecchio ordine politico, sia anche colui che ha scritto un libro importante come “La crisi dell’aristocrazia”. Un testo che, con lo sguardo dello storico, riesce a vedere la salda permanenza del potere aristocratico nonostante la rivoluzione inglese e Cromwell.

Il potere, quello aristocratico (che si riproduce in vecchie e nuove forme), è destinato a permanere, anche stavolta, nonostante le insorgenze? Se non intervengono mediazioni, sospensioni e neutralizzazioni di un conflitto fattosi acuto, in caso di precipitazione degli eventi, a queste stesse insorgenze l’onere, e l’onore, di operare per un esito differente della storia.

Per Senza Soste, nique la police
6 ottobre 2017

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