07/10/2017
Così vanno le cose nell’industria e nell’occupazione in Italia: a proposito di siderurgia
Le notizie riportate di seguito sono dedicate a chi strombazza l’aumento dell’occupazione dello 0,1 o 0,2%. Un aumento composto quasi integralmente da contratti a tempo determinato e in settori a bassissimo know-how, puntando sulla precarietà di turismo, cementificazione e cose del genere, esaltando ridicolmente gli chef diventati star nazionali. Un’occupazione per la quale si esaltano i miracoli del superfruttamento indotto dal jobs act.
Un paese in grave deficit di infrastrutture, nell’assetto idrogeologico, nella scuola e soprattutto nell’Università (vera sede di preparazione per la “fuga dei cervelli) incapace di affrontare le purtroppo frequenti calamità naturali, attraversato da un divario enorme tra Nord e Sud, con un insopportabile tasso di corruzione e di criminalità organizzata e che aspetta la “bolla” che sicuramente verrà fuori con la fine del QE mentre si sta preparando un DEF specificatamente propagandistico–elettorale.
L’Italia è priva di un piano industriale nel quale le forze politiche dovrebbero riflettere su questi punti che invece appaiono assolutamente trascurati in favore dei giochetti di schieramento.
Un Paese che – addirittura – sul piano politico si è vista bocciare dalla Corte Costituzionale ben due leggi elettorali e il cui corpo elettorale ha respinto una proposta di modifica della Corte Fondamentale che si voleva attuare in senso di restrizione autoritaria della democrazia repubblicana.
Osserviamo allora un punto specifico di grande importanza per la qualità della questione che ne emerge.
Un paese nel quale le vicende di un settore decisivo come la siderurgia vanno in questo modo.
Le esportazioni
Nei primi undici mesi del 2016 le vendite all’estero di prodotti siderurgici sono ammontate a 15,8 milioni di tonnellate, con un aumento del 6,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le esportazioni nei Paesi dell’UE, pari al 72% del totale, sono cresciute dell’11,3%, mentre quelle verso i Paesi extra UE sono diminuite dell’1,5%. Le vendite all’estero di laminati piani sono aumentate del 7,0%, mentre quelle di laminati lunghi sono cresciute dell’8,4%. Le esportazioni di semilavorati (lingotti, billette e bramme) sono aumentate del 22,0%, mentre quelle di tubi hanno registrato un incremento del 4,3%, imputabile sia ai tubi saldati (+3,8%) sia a quelli senza saldatura (+8,1%).
Le importazioni
Nei primi undici mesi del 2016 le importazioni di prodotti siderurgici si sono attestate a 18,1 milioni di tonnellate, con un calo dell’1,8% rispetto allo stesso periodo del 2015. La diminuzione è da imputarsi sia alle importazioni dai Paesi extracomunitari, (-1,0%) sia dai Paesi comunitari (-4,6%). Le importazioni di prodotti piani sono diminuite del 4,1%, mentre quelle di prodotti lunghi sono calate del 4,2%. L’import di questi ultimi si è ridotto del 4,0% per quanto riguarda i Paesi comunitari e del 6,2% per quanto concerne i Paesi extracomunitari. L’import di prodotti piani dai Paesi Ue è diminuito del 5,4%, mentre quello proveniente dai Paesi extra Ue si è ridotto del 2,7%. Le importazioni di semilavorati sono cresciute del 2,9% grazie al contributo dei Paesi Terzi (+4,6%)
Di conseguenza con un deficit tra esportazioni e importazioni.
Succede questo:
Ilva: nei piani di Am InvestCo ci sono 4mila esuberi e prosegue la vicenda giudiziaria
Questi sono gli esiti delle privatizzazioni
I dettagli sul programma della nuova proprietà nella lettera dei commissari ai sindacati. Intanto il gip ha respinto il patteggiamento richiesto dai Riva, al quale i pm titolari del fascicolo, Stefano Civardi e Mauro Clerici, avevano dato il via libera.
Da una parte la vicenda giudiziaria legata al passato, dall’altra le prospettive sul futuro e con la minaccia di pesanti sacrifici in vista per il personale. L’Ilva oscilla tra il “no” all’istanza di patteggiamento dei Riva e il piano di Am Investco, che ha vinto la gara per l’acciaieria.
I tagli previsti
Partendo proprio da quest’ultimo fronte, dalla lettera che i commissari hanno inviato ai sindacati in vista dell’incontro di lunedì mattina con il governo emerge che Am InvestCo, che ha vinto la gara per l’acquisizione di tutti gli stabilimenti Ilva, nel complesso intende occupare 9.930 dipendenti del Gruppo per il rilancio della società siderurgica. Questo significa che gli esuberi saranno 4.000 circa. “Le suddette allocazioni – si legge nella lettera – sono soggetti a leggeri aggiustamenti tenendo fermo il numero complessivo di 10.000 lavoratori”. Da lunedì parte la trattativa al ministero dello sviluppo con i sindacati.
Nel dettaglio del piano di ripartizione delle risorse, 7.600 sarebbero impiegati a Taranto, 900 a Genova, 700 a Novi Ligure, 160 a Milano, 240 in altri siti. Per un totale di 9.600 addetti. Quanto alle controllate sono previsti 160 dipendenti in forze AIsm, 35 a Ilvaform, 90 Taranto Energia. Inoltre sono previsti 45 dirigenti in funzione. A questi numeri si aggiungono i dipendenti francesi delle società Socova, Tillet che rientrano nel perimetro del gruppo. Gli esuberi, come assicurato dal Governo, saranno impiegati nelle attività di ambientalizzazione del sito di Taranto gestito dall’Amministrazione Straordinaria.
Quanto a quelli che resteranno in servizio, non vi sarà “continuità rispetto al rapporto di lavoro intrattenuto dai Dipendenti con le Società, neanche in relazione al trattamento economico e all’anzianità”. In altre parole i nuovi contratti rientreranno nell’alveo del Jobs Act con la perdita delle garanzie dell’art. 18. Am InvestCo è però “disponibile a prendere in considerazione alcuni ulteriori elementi di natura retributiva riferibili ad elementi costituenti l’attuale retribuzione, a condizione che sia preservata la sostenibilità del piano industriale”.
La prima reazione arriva dal segretario generale della Fiom, Francesca Re David, per la quale Arcelor Mittal è “arrogante e inaffidabile”. Secondo il sindacato dei metalmeccanici “non ci sono le condizioni di aprire un tavolo negoziale. L’unica risposta possibile a tale provocazione è una forte azione conflittuale di tutte le lavoratrici e i lavoratori”.
La vicenda giudiziaria
Intanto il gup del Tribunale Chiara Valori ha respinto le istanze di patteggiamento di Fabio Riva, ex vicepresidente dell’Ilva di Taranto, e del fratello Nicola. Per il giudice le proposte di pena dei legali dei figli dello scomparso Emilio Riva, ex patron del gruppo siderurgico, non sono apparse congrue per poter ratificare l’accordo raggiunto con la procura di Milano. I pm titolari del fascicolo, Stefano Civardi e Mauro Clerici, avevano dato il via libera alle istanze oggi bocciate dal gup, concordando su una proposta di pena di 5 anni per Fabio e di 2 anni per Nicola, entrambi accusati di bancarotta, in merito al dissesto finanziario del gruppo Ilva.
Il gup Valori ha fissato la prossima udienza dell’udienza preliminare a carico di Fabio e Nicola Riva per il 17 novembre prossimo. In questa fase i due indagati per bancarotta per cui la procura aveva chiesto il rinvio a giudizio non potranno tentare ancora il patteggiamento. La bocciatura di oggi è la seconda per i due componenti della famiglia Riva, che controllava l’Ilva di Taranto. La prima risale al 14 febbraio scorso, quando il Gip di Milano Maria Vicidomini aveva respinto le richieste di patteggiamento non solo di Fabio e Nicola Riva, giudicandole “incongrue”, ma anche dello zio Adriano. All’epoca le pene proposte erano tra 4 e 5 anni per Fabio e di meno di due anni per Nicola. Nel frattempo, nel maggio scorso Adriano Riva ha patteggiato una pena di due anni e sei mesi con rinuncia alla prescrizione, compreso il rientro in Italia di 1,3 miliardi di euro destinati all’ambientalizzazione dell’Ilva e al sostegno alla gestione. Adriano Riva era indagato per bancarotta, trasferimento fittizio di valori e truffa ai danni dello stato.
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