Solo una cosa, in Italia, dura a lungo: la protervia di un potere sempre in cerca di una legittimazione facile sulla pelle degli ultimi.
Ultimi degli ultimi ci sono i protagonisti della ribellione armata degli anni ‘70, sempre “utili” quando si tratta di arrestarne uno per far vedere che “lo Stato c’è”.
Ultimo tra gli ultimi è Cesare Battisti, non popolare nemmeno tra i suoi “colleghi” della lotta armata di sinistra, sia per la natura bislacca del gruppo di cui è accusato di aver fatto parte (i “Proletari armati per il comunismo”, autori di alcune azioni di difficile inquadramento politico), sia per la scarsa relazione tenuta con gli altri esuli a Parigi, finché è stato lì. E dire che si era costruito una apprezzata carriera di scrittore di libri gialli, che però sembra avergli accresciuto le antipatie anziché favorirne il “reintegro”.
Era poi rifugiato in Brasile e i governi di Lula e Dilma Roussef avevano respinto le richieste di estradizione da parte dell’Italia. Il golpe filostatunitense che ha portato alla presidenza l’ultracorrotto Temer ha invece “aperto” a questa possibilità, tanto da convincere l’ormai anziano – stiamo parlando di un ultrasessantenne – a cambiare ancora una volta aria e vita. Aveva fatto la stessa cosa quando il governo Sarkozy si preparava a rimandarlo in Italia. Ma allora la polizia francese aveva tenuto un comportamento piuttosto “diplomatico”, suggerendogli addirittura di andare via – come lui stesso ha raccontato più volte – per evitare di sollevare il tema degli esuli (un paio di centinaia, in Francia) e infiniti tira-e-molla con le istituzioni italiane.
La polizia brasiliana – molto probabilmente di concerto con i “servizi” di Minniti – lo ha invece tenuto sotto attento controllo, pedinandolo fino a che non si è presentato ad un posto di frontiera con la Bolivia. A quel punto lo ha fermato contestandogli la violazione degli obblighi formali che avevano accompagnato l’asilo politico in Brasile (l'obbligo di restare nel paese).
Le cronache suggerite dai servizi italiani e brasiliani, riportate senza alcuna esitazione dai media nostrani, parlano di un “controllo casuale”, nello stato del sudovest di Mato Grosso do Sul, su una statale percorsa spesso anche da trafficanti di droga e per questo particolarmente presidiata dalla polizia. Prima domanda: la coca viaggia dalla Bolivia al Brasile, non viceversa. Dunque perché fermare un uomo solo che va in direzione opposta?
Alla polizia avrebbe comunque presentato i suoi documenti regolari da “residente a tempo indeterminato”. Il governo Temer aveva infatti già provveduto a revocargli lo status di rifugiato politico (in quasi tutti i paesi del mondo vige infatti la regola per cui non si può essere stati condannati senza aver presenziato al processo).
Gli agenti della stradale lo avrebbero lasciato proseguire pedinandolo e lo avrebbe bloccato definitivamente soltanto quando si è presentato al posto di frontiera di Corumbà. Tutto credibile come un romanzo dello stesso Battisti.
Ora si annuncia una aspra battaglia legale in Brasile, dove ha una moglie e una figlia, e soprattutto dove non ha commesso alcun reato. Per avere un appiglio minimo, la polizia lo sta accusando di “esportazione illegale” di valuta. Ma il limite legale è di 10.000 dollari, e naturalmente Battisti aveva assai meno di quella cifra. Dunque cadrà alla prima istanza del suo avvocato.
Ma intanto è stato arrestato. Se, come tutto sembra, è un’operazione di “sequestro di persona delegato” messa in piedi dai servizi italiani – c’è il precedente di Paolo Persichetti, effettivamente preso e portato in Italia dalla Francia, di notte, senza passare neanche davanti un giudice; Matteo Renzi rivendica di “aver posto la questione” durante il suo unico incontro con Temer – c’è la possibilità che Battisti venga consegnato ai suoi cacciatori ben prima che la “giustizia” locale possa fare il suo corso con un briciolo di difesa legale.
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