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Ancora poche ore e le urne austriache decreteranno con quasi matematica certezza il cancellierato del giovanissimo ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz. L’Italia dovrà dunque instaurare rapporti di buon vicinato con un leader rampante, nato solo 50 giorni dopo il nostro Di Maio, nel 1986, in piena era millennials.
Qualche tratto in comune col nostro aspirante premier: assenza di laurea, giacca attillata, camicia bianca e sorriso quasi perenne. Più a denti stretti quello di Kurz, che non può sfoggiare una dentizione smagliante pari al nostro Luigino e però, in compenso, non disdegna scravattarsi e aprire con disinvoltura il primo bottone della camicia.
A dirla tutta Sebastian, pur essendo più giovane, vanta un curriculum internazionale di un certo successo.
Non che abbia lasciato tracce profonde: molte agenzie manco se ne sono accorte, però lui, per il 2017, è il Presidente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’OSCE, nell’anno di competenza dell’Austria, dove se ne trova il quartier generale.
In tale veste le sue parole d’ordine sono state la deradicalizzazione dei giovani e la volontà di risoluzione dei conflitti nei territori dell’OSCE; vale a dire contribuire a ripristinare la fiducia per la risoluzione dei conflitti nei territori OSCE, nell’est dell’Ucraina, in Georgia, Nagorno-Karabakh e Transnistria, parole di Kurz alle Nazioni Unite.
In materia non risulta che i primi 10 mesi del suo mandato abbiano fatto registrare successi strabilianti. Tra l’altro alcuni progetti Osce in territorio bosniaco paiono non avere inciso sul numero dei foreign fighters di quel paese. Calma piatta, come ci si poteva aspettare da un Popolare austriaco, forza notoriamente conservatrice.
Ma è sul punto del come effettuare la deradicalizzazione, che significa poi concentrare l’attenzione sul terrorismo internazionale, che Kurz si è fatto notare, più ancora che come responsabile Osce, sul piano delle relazioni internazionali, così come su quello delle strategie dei popolari nel suo paese.
In quel di Vienna e dintorni si è adoperato per spostare a destra, riuscendoci, l’asse del proprio partito. Il capitolo più significativo di tale operazione è stato rappresentato dalle proposte di politiche di respingimento degli immigrati forzati, intesi come fonte di radicale pericolo.
E’ significativo che la maggioranza, che probabilmente uscirà dalle urne, sancirà l’alleanza dei Popolari con la destra estrema che fu di Haider e con la consegna della vicecancelleria al Partito xenofobo che la rappresenta. Per i Popolari è infatti previsto oltre il 30% dei voti e per l’estrema destra il 25 % e rotti, che col proporzionale, consentono a Kurz di governare senza soccorsi più o meno di centrosinistra. Di conseguenza, sul piano interno, sicura spaccatura con la socialdemocrazia locale, che quindi, vedova di Grossekoalition, uscirà dal governo austriaco dopo tempi immemorabili. E nell’angolo pure i Verdi, in preoccupante sopore e divisi in tre dopo la battaglia vinta contro la destra per la Presidenza della Repubblica.
Sul piano delle relazioni internazionali stop agli arrivi dei migranti e grinta dura alle frontiere, sempre e ovunque, a prevenire fonti di destabilizzazione e terrore. Alla faccia della idealpolitik dell’Osce, tutta diritti umani e volemose bene (almeno a parole). Su questo terreno Kurz si era già manifestato ai tempi in cui la Merkel si era adoperata nel chiudere la rotta dei Balcani. Molto bene, secondo lui, la chiusura, ma ancora meglio bloccare il transito anche ai migranti residui di stanza in Slovenia. Della serie Europa sì, ma solo quando mi fa comodo. Una considerazione che Angela non parve gradire, mentre incontrò simpatie in quel di Budapest, innescando amorosi sensi tra Kurz e Orban.
Antieuropeista, orientato a destra e che altro? Per quanto ci riguarda ne abbiamo già goduto un assaggio significativo.
In Italia Kurz è soprattutto noto per una ipotesi che non ci ha rasserenato: carri armati al Brennero a garanzia che l’Italia non scaricasse sull’Austria i migranti forzati in transito: magari fornendo loro furbeschi permessi di soggiorno a raffica, come propose a suo tempo Maroni determinando il blocco francese a Ventimiglia e come aveva riproposto la improvvida Bonino, suscitando analoghi propositi ritorsivi a Vienna.
Va detto che, allora, questo gorgheggiante Di Maio allo jodel (canto tipico tirolese e più in generale germanofono) fece fare bella figura al nostro Alfano che segnalò come il flusso in entrata in Italia dei migranti, via Tarvisio e via Brennero, stesse quasi superando quello in uscita, grazie ai pakistani che vengono da noi dopo che il mitteleuropa danubiano li ha scaricati. In quell’occasione apparve quasi comica la minaccia di Kurz all’Italia: “Bloccate i migranti a Lampedusa o blocco il Brennero”. Pare che qualcuno alla Farnesina abbia sussurrato “Bravo furbo, così i Pakistani te li tieni tu”:
Ma non è il caso di fare troppo gli spiritosi, il nostro sembra abbastanza suscettibile e non è il caso di irritare il vicino prima del tempo.
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