Con un’importante sentenza, il tribunale di Roma ha riconosciuto le ragioni di 153 lavoratori di Almaviva che nel 2017 denunciarono come arbitrari e discriminatori i 1666 licenziamenti su Roma. I licenziamenti furono decisi dalla società a seguito della non sottoscrizione da parte delle RSU di Roma dell’accordo capestro del 23 dicembre 2016. Accordo su cui intervenne con forza la viceministro Bellanova e la cui sottoscrizione fu imposta alle RSU dai segretari CGIL, CISL e UIL Camusso, Furlan e Barbagallo in persona.
Con questa sentenza il ricatto padronale torna sotto gli occhi di tutti e tornano anche le ragioni dei lavoratori e delle RSU che in quei giorni di Natale furono massacrati e messi alla gogna per avere respinto quel “prendere o lasciare” messa sul tavolo Almaviva e che prevedeva:
• la riduzione del salario;
• l’inasprimento del controllo a distanza sulla prestazione lavorativa del singolo operatore;
• licenziamenti volontari;
• in caso di mancata accettazione dell’accordo, attivazione della procedura di licenziamento collettivo entro 15 gg.
Per dividere le RSU dei diversi stabilimenti, durante quella vigilia di Natale arrivò la proposta del governo :
in caso di sottoscrizione ci sarebbe stato il posticipo della procedura di licenziamento di tre mesi, durante i quali applicare la cassa integrazione a rotazione così suddivisa: 0 ore a gennaio, 75% a febbraio, 50% a marzo, rendendo di fatto i lavoratori ostaggi della trattativa e con un salario azzerato dalla cig.
Al rifiuto delle RSU di Roma scattarono immediatamente le 1666 lettere di licenziamento per i lavoratori Almaviva di Roma.
La sentenza riconosce che Almaviva scelse di licenziare a Roma non per motivi tecnici e gestionali, ma perché a fronte della sottoscrizione delle RSU di Napoli dell’accordo del 23 dicembre 2016 che tagliava salario e diritti, il costo del lavoro dei lavoratori romani che lo avevano respinto rimaneva “più alto”.
Tecnologicamente la ripartizione del lavoro tra i diversi siti è possibile, ma l’azienda lo rifiutò proprio perché intendeva strumentalmente mantenere “scarichi” gli stabilimenti su cui operare i tagli.
Con quella procedura di licenziamento che colpì 1666 dipendenti, padroni e governo vollero colpire e dividere i lavoratori Almaviva che per tutto il 2016 si mobilitarono contro i licenziamenti, il taglio dei salari e il controllo a distanza, arrivando a bocciare con il 90% dei voti le intese raggiunte da CGIL, CISL, UIL e Almaviva. Un protagonismo inaccettabile che rischiava di essere di esempio per gli 80.000 lavoratori del settore dei call center.
Riconfermando la sua abituale arroganza, Almaviva ha replicato che ritenendo corretto il suo operato impugnerà la sentenza e avendo chiuso il sito di Roma riammetterà i lavoratori nelle sedi disponibili sul resto del territorio nazionale, ossia licenziamenti camuffati da trasferimenti.
Il lavoro dei collegio legale Panici-Guglielmi che sostiene gli interessi dei lavoratori Almaviva ha ben evidenziato il ricatto aziendale, un’azione legale che rilancia le ragioni e l’importanza della lotta e del conflitto sindacale soprattutto in un momento in cui gli interessi dei lavoratori vengono tagliati e assottigliati per fare spazio al profitto delle imprese.
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