di Michele Giorgio – Il Manifesto
Qualcuno parla dell’11 Settembre dell’Egitto ma è più giusto dire che il
massacro di oltre trecento fedeli nella moschea al Rawda nel nord del
Sinai è l’ultimo e più sanguinoso atto della perenne aggressione dei
jihadisti salafiti contro il sufismo, la corrente mistica
dell’Islam che in Egitto conta circa 15 milioni di adepti. Poco conta se
sia stato l’Isis a compiere la strage o un altro gruppo armato. Tutte
queste organizzazioni sunnite estremiste guardano con odio e disprezzo
ai sufi che considerano non musulmani se non addirittura dei politeisti
fuori dell’Islam contro i quali usare anche la forza. I media
egiziani dicono che lo sceicco sufi responsabile della moschea presa di
mira due giorni fa era stato minacciato più volte da miliziani dell’Isis
che gli avevano intimato di interrompere «quei riti». Poi è scattato lo
sterminio che non ha risparmiato bambini e adolescenti.
Come negli anni Ottanta e Novanta i sufi erano stati un argine contro il proselitismo del Jihad Islami e della Gamaa al Islamiya
che avevano dichiarato guerra allo Stato – due degli attentati più noti
in quegli anni furono l’assassinio del presidente Anwar Sadat compiuto
dal Jihad nel 1981 e i 62 turisti, in gran parte svizzeri, massacrati
nel novembre 1997 da un commando della Gamaa nel tempio funerario della
regina Hatshepsut nei pressi di Luxor –, anche oggi i mistici islamici
rappresentano uno degli ostacoli sociali più importanti sulla strada dei
gruppi jihadisti salafiti (circa 7 milioni di egiziani si proclamano
salafiti ma non praticano la violenza e sono rappresentanti nel
Parlamento). Un ostacolo che gli estremisti ritengono più difficile
delle stesse forze armate perchè agisce tra la gente, specialmente tra i
più poveri, quindi nello stesso serbatoio di consenso.
«I sufi riescono a strappare molte centinaia di giovani ai gruppi più
radicali, in un modo che l’Esercito non è stato in grado di fare.
L’Isis vuole eliminare un rivale ideologico molto convincente», spiega al manifesto Mohammed Sabry, giornalista e analista che ha lavorato a lungo nel Sinai.
«I sufi – aggiunge – hanno gli strumenti religiosi, le capacità
intellettuali e anche l’astuzia politica per contrastare l’Isis». Nel
Sinai i jihadisti l’anno scorso hanno decapitato un anziano dirigente
sufi con l’accusa di stregoneria e hanno diffuso un comunicato nel quale
esortavano alla lotta al sufismo. «La comunità sufi rimarrà resiliente,
come ha sempre fatto, nonostante il massacro nella moschea di al Radwa
faccia temere l’inizio di una serie di attacchi. Sono però pronti a
difendersi e a cooperare con l’Esercito nella lotta l’Isis», prevede
Sabry.
Il termine sufi deriva dall’arabo “suf” (lana). Pare che agli asceti
del passato indossassero un vestito di lana molto semplice per
dimostrare la loro rinuncia alle vanità del mondo. Fra i grandi
esponenti del misticismo islamico ci sono una donna, Rabiia al Adawiuya
(morta nell’801 a Bassora), il teosofo egiziano Dhui lun Misri (morto
nell’859), l’iracheno al Hallaj ucciso proprio perchè sufi nel 922 e
Jalal Eddin al Rumi (1207-1273) fondatore della setta dei dervisci
rotanti che simboleggiano il movimento degli astri. L’unità è la
dottrina del sufismo: le cose create, compreso l’uomo, sono una
manifestazione piena di Allah e lo scopo del sufista è quello di
raggiungere una completa immersione (fana) nella sostanza universale
attraverso l’osservanza della legge. L’ascetismo e la meditazione e
infine l’approdo alla certezza assoluta (paragonabile al nirvana per i
buddisti).
In Egitto ci sono 74 ordini sufi (tarikas) riconosciuti ma non per
questo appoggiati e protetti in modo efficiente dalle forze di
sicurezza. Non sono mancati in questi ultimi anni provvedimenti della
polizia, su pressione dei sunniti radicali, che hanno vietato i raduni
dhikr sufi, con balli e canzoni religiose, che hanno provocato gravi
scontri alla moschea di Hussein e Sayyida Zeinab, al Cairo.
I salafiti colpiscono regolarmente il sufismo che accusano di
incoraggiare il peccato, la depravazione e la mescolanza dei sessi che
avviene nei santuari durante i “mawlid”, i festeggiamenti per il
“compleanno” delle figure religiose islamiche (oltre a quello di
Maometto in Egitto se ne celebrano altri sette) che considerano non
manifestazioni della devozione popolare ma riti pagani. Presa di
mira in modo particolare è la moschea di Sayyid Ahmed al Badawi, a
Tanta, tomba del fondatore dell’ordine sufi Ahmadiya, dove uomini e
donne possono entrare insieme. Ma numerosi attacchi alle moschee dei mistici sono avvenuti anche ad Alessandria.
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