Il #BlackFriday è appena passato ma quanti ci hanno dormito sopra? I media mainstream hanno parlato di “invasioni nei centri commerciali” e di “risse” per accaparrarsi la merce scontata. Anche in questo caso la mala informazione ha retto il gioco di chi ha montato l’evento tempestandoci con un mese circa di pubblicità con il malcelato fine di riuscire a svuotare i magazzini dalla merce invenduta e riempirli di nuova in vista delle festività natalizie.
D’altronde, ben sapevano che le ultime – quelle del 2016 – avevano hanno fatto registrare una contrazione della spesa complessiva del 2,3% rispetto a quella del 2015, con un calo degli acquisti di circa 200 milioni di euro.
E poi una cosa è certa: non basta l’1.1% di tasso d’inflazione registrato dall’ISTAT a fine luglio per sentirsi fuori dall’inesorabile tendenza al tragico crollo dei consumi registrata negli ultimi anni, inevitabile specchio dell’enorme crescita dell’area della povertà nel nostro paese. Un paese in cui sempre più gente risparmia sul cibo, sulle cure mediche e su altri beni di prima necessità perché sottopagata, precaria, disoccupata e/o insolvente in mezzo ad una strada con la casa venduta all’asta.
Dopo l’euforia per quel 1.9% registrato ai primi mesi del 2017, ecco che siamo tornati con i piedi per terra. Per l’Istituto di statistica il calo registrato a fine luglio è dovuto all’impennata delle tariffe dei beni energetici, dei servizi per i trasporti e delle comunicazioni. Dunque, la situazione è ancora molto prossima a quella soglia che in economia viene definita di “deflazione”, cioè, quando si è in presenza di una diminuzione del livello generale dei prezzi derivante dalla contrazione o stagnazione della produzione e dei redditi.
Tuttavia, ogni governo succedutosi alla guida del paese negli ultimi anni, ha continuato ad applicare alla lettera le draconiane “Raccomandazioni” con cui la UE ha immancabilmente preteso continuità nelle politiche di flessibilità nel così detto “mercato del lavoro”, cioè, in quelle contrattuali ed in quelle retributive.
Questa odiosa ed ostinata svalutazione del lavoro, nel combinato disposto con le sanguinose politiche di austerity, ha prodotto una cronica stagnazione della domanda interna. Insomma, senza un aumento consistente delle retribuzioni e dei salari ed uno sganciamento dalle politiche di austerity che ci vengono imposte dalla UE non basterebbe fare un Black Friday alla settimana per risollevare le sorti di una domanda interna stagnante, ormai, da anni.
Certo, la “letterina” che il presidente ed il vicepresidente della Commissione economica CE, Pierre Moscovici e Dumbrovskis, hanno inviato al ministro italiano Pier Carlo Padoan ed i segnali che vengono da Bruxelles vanno tutti in una direzione opposta a quella auspicata ed, anzi, annunciano, tra le righe, una imminente “cura greca” per l’Italia.
Subito? Non proprio. Per ora la #UE si è limitata a chiedere che la legge finanziaria rientri nei soliti parametri deficit-PIL con un deciso stop a qualsiasi concessione sulle pensioni.
Ma se dopo le elezioni, come è largamente prevedibile, avremo un governo politicamente debole e prono ai voleri della UE, prepariamoci da subito ad un nerissimo 2018: il #BlackYear del nostro paese.
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