Giornata di incontri oggi a Sochi intorno alla questione siriana. Con
una guerra a bassa intensità che da un anno va avanti nel nord ovest, a
sud e intorno Damasco, con l’Isis spinto verso il confine orientale con
l’Iraq e le opposizioni islamiste concentrate nella provincia
occidentale di Idlib, le potenze regionali tornano a discutere di
soluzioni.
Oggi in Russia si terrà un nuovo vertice tra Mosca, Teheran e
Ankara, a due giorni dalla visita a sorpresa del presidente siriano
Assad all’alleato Putin. I due hanno avuto un lungo colloquio,
tre ore durante il quale la Russia ha ribadito il sostegno a Damasco che
da parte sua ha ringraziato Mosca per l’indispensabile ruolo nel far
sopravvivere il governo.
A sei anni dallo scoppio delle proteste di piazze, poi dirottate da
gruppi armati di ispirazione jihadista e legate a doppio filo ai paesi
del Golfo e alla Turchia, la Siria è devastata. La soluzione
politica, che tutti indicano come unica via d’uscita, non prende forma,
vittima della realtà sul terreno e delle diverse ambizioni delle potenze
mediorientali e internazionali: il paese è oggettivamente
diviso in territori gestiti da autorità diverse, nonostante la ripresa
da parte governativa di molte delle zone perse dal 2011.
La stessa spaccatura si riflette sulle opposizioni
considerate legittime dalla comunità internazionale. La Coalizione
Nazionale Siriana, ben presto distaccatasi dagli oppositori interni, è
sparita. Il vuoto lasciato è stato colmato dall’Arabia Saudita
che due anni fa ha plasmato un nuovo corpo, l’Alto Comitato per i
negoziati (Hnc), che due giorni fa ha perso di nuovo i suoi vertici.
Oggi l’Hnc si ritrova a Riyadh, dove ha visto la luce, per formare
una delegazione che vada a negoziare a Ginevra nel nuovo round
organizzato dall’Onu, di per sé svuotato dall’avanzata del modello di
Astana imbastito da Russia, Iran e Turchia. L’obiettivo dei 140
membri presenti è individuare in tre giorni i nuovi vertici, dopo le
dimissioni a sorpresa dell’ex premier siriano, Riad Hijab.
Hijab, in carica fin dalla nascita dell’Hnc, nel dicembre 2015, non ha
dato spiegazioni precise limitandosi a indicare nei “tentativi di prolungare il regime di Bashar al-Assad” i responsabili del suo passo
indietro. Lasciano anche altre figure centrali dell’Hnc, tra cui Suhair
al-Atassi e Abdul Hakim Bashar.
Fonti anonime interne al Comitato hanno asserito all’Afp che molte
di queste personalità si sono dimesse dopo aver compreso di essere
state marginalizzate anche dall’Arabia Saudita per l’insistenza a porre
come precondizione al dialogo l’uscita di scena di Assad. Una
posizione che ormai in pochi vedono come possibile, compresa Riyadh,
messa all’angolo dalle vittorie registrate dal cosiddetto asse sciita a
cui la Turchia si è aggrappata negli ultimi mesi per strappare qualche
risultato in chiave anti-curda. In particolare pare centrale la
divisione interna tra l’Hnc da una parte e le piattaforme di Mosca e del
Cairo, gruppi nati nel corso dell’ultimo anno e maggiormente tollerate
da Damasco perché più vicine alle posizioni russe.
A indebolire le opposizioni all’estero è anche il ruolo ondivago
degli Stati Uniti: l’amministrazione Trump ha accettato l’autorità della
Russia e la permanenza di Assad. Dopo l’incontro con il presidente
siriano, Putin ha telefonato al presidente statunitense con cui ha
discusso dei “risultati” raggiunti a Sochi, ovvero l’accordo con Damasco
a procedere attraverso “il processo politico, le riforme costituzionali
e le elezioni parlamentari e presidenziali”.
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