di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Ho discusso delle mie
dimissioni con il presidente della repubblica Michel Aoun che mi ha
chiesto di attendere prima di presentarle e consentire ulteriori
consultazioni». E ancora: «Starò con voi, continueremo insieme ad essere
in prima linea nella difesa del Libano e della sua stabilità».
Con queste frasi, pronunciate davanti ai suoi sostenitori, Saad
Hariri, rientrato qualche ora prima a Beirut, si è rimangiato
l’intenzione di farsi da parte proclamata lo scorso 4 novembre a Riyadh e
ribadita più volte assieme a una valanga di accuse al movimento sciita
libanese Hezbollah e all’Iran. Hariri ha gettato il Libano in una grave
crisi, ora vuole contenerla.
Abbiamo assistito ad un altro atto di quella follia che spesso si
attribuisce ai protagonisti della politica in Medio Oriente? «Nessuna
follia – spiega al manifesto l’analista libanese Ali Hashem –
Hariri, lo pensano tanti, a Riyadh non era libero, era tenuto sotto
pressione dei sauditi. Oggi (ieri) è apparso rilassato, visibilmente
felice di essere di nuovo in Libano e consapevole di aver provocato una
crisi grave. I suoi appelli alla stabilità del Paese non sono
simbolici».
I regnanti sauditi in pieno sommovimento interno, culminato con le
purghe “anti-corruzione” avviate il 5 novembre, hanno scatenato un
putiferio nella regione sotto la spinta dell’irruento principe
ereditario Mohammed bin Salman. Ora cominciano a rendersi conto
di non avere le spalle coperte per continuare l’escalation contro
l’Iran, almeno non a questo livello. «Non possono che fare marcia
indietro, parziale e non totale, ma faranno retromarcia – dice
l’analista – I Saud pensavano di avere l’appoggio pieno di Francia, Usa e
vari Paesi arabi contro Teheran. Ora hanno capito che lo scontro fino al
conflitto vero e proprio con l’Iran, almeno in questo momento, non è
nell’interesse di nessuno».
D’altronde lo stesso Israele, che pure si sta organizzando per una
nuova guerra con Hezbollah, ha fatto capire agli alleati (non
dichiarati) sauditi che non si farà tirare per la giacca. In definitiva
non è da escludere che proprio la monarchia saudita abbia detto ad
Hariri di sospendere le dimissioni, in attesa di sviluppi.
Si sussurra che il passo indietro saudita potrebbe includere persino
le dimissioni del ministro degli affari del Golfo Tamer al Sabhan,
stretto collaboratore di Mohammed bin Salman ed esponente dell’ala dura
del regime.
Cosa farà Hezbollah è un altro interrogativo.
Le accuse pronunciate da Hariri contro Hezbollah e Iran durante le due
settimane trascorse a Riyadh, probabilmente in stato di detenzione
mascherata, non possono non aver lasciato il segno.
«Le parole di Hariri non saranno dimenticate facilmente – puntualizza Ali
Hashem – ma (il leader di Hezbollah) Hassan Nasrallah l’altro giorno ha
insistito sulla stabilità del Libano e ha anche lasciato intravedere un
ritiro parziale dei combattenti del suo movimento dalla Siria ora che è
vinta la guerra contro l’Isis, allo scopo di smussare le accuse di
Hariri che, almeno a parole, invoca la neutralità del Libano». A
Hezbollah più che la resa dei conti con il premier interessa il
consolidamento della Siria sotto il presidente Bashar Assad e del quadro
regionale post-Isis delineato ieri al vertice di Sochi con Russia, Iran
e Turchia.
Vladimir Putin, in accordo con le controparti Hassan Rohani e
Recep Tayyp Erdogan e forte delle intese raggiunte con i rivali
americani, intende costruire il futuro della Siria attraverso un
“Congresso nazionale di dialogo” che dovrebbe includere tutti i gruppi della popolazione del Paese.
«Daremo un nuovo impulso alla soluzione politica sulla base della
risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – ha
spiegato – Vorrei ricordare che il documento prevede che il dialogo
intra-siriano comprenda tutti i gruppi etnici, religiosi e politici
della popolazione che determinerà il proprio futuro da sé e coordinerà i
principi della struttura statale». Saranno coinvolti anche i curdi
esclusi dagli incontri ad Astana per il veto posto da Erdogan? Non è
chiaro ma appare difficile.
I tre leader hanno commentato il successo avuto dalle “zone di
de-escalation” avvertendo però che non diventeranno uno strumento per
minare l’integrità territoriale della Siria. Assad che ha incontrato
Putin prima del vertice a Sochi, ha approvato il “Congresso nazionale di
dialogo” che dovrebbe partorire una nuova costituzione e diventare una
base per tenere elezioni nel Paese.
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