Sull’account Twitter dell’esercito libanese, il comandante delle forze armate il generale Joseph Aoun,
ha chiesto oggi ai suoi soldati di essere pronti ad affrontare nel sud
del Paese le “minacce del nemico israeliano”, le sue “violazioni” e le
sue “intenzioni aggressive” verso il Libano, “la sua gente e il suo
esercito”. Secondo il generale, le sue truppe devono inoltre accertarsi che la risoluzione dell’Onu 1701 sia “ben implementata” cosicché il confine con Israele resti stabili.
“L’eccezionale situazione politica che il Libano sta vivendo – ha
aggiunto – vi porta ad esercitarvi al massimo livello di consapevolezza e
vigilanza”.
Il commento mostra nuovamente come il rischio di un nuovo conflitto tra il Libano e lo stato ebraico sia molto concreto.
Tel Aviv potrebbe approfittare della crisi politica interna libanese,
causata dalle “dimissioni” inaspettate del premier Hariri lo scorso 4
novembre, per sferrare un duro colpo agli sciiti di Hezbollah.
Un ufficiale israeliano anonimo, citato dalla Reuters, nega però la validità dei commenti di Aoun definendoli “insensati”.
Sarà, ma da domenica l’esercito israeliano sta compiendo
un’esercitazione vicino al confine con la Siria (non la prima) e da mesi
alcuni analisti militari hanno paventato la possibilità di un nuovo
conflitto con Hezbollah. Il clima nella regione mediorientale è incandescente:
alla base lo scontro (finora solo per procura) tra Iran e Arabia
Saudita che, considerati i fallimenti dell’asse sunnita capitanato da
Riyadh in Siria e Yemen, vede al momento prevalere Teheran.
Senza poi dimenticare le altre “crisi”: dall’embargo imposto dai
sauditi e alleati al Qatar in estate, alle recenti dimissioni (quanto
vere?) di Hariri, l’uomo di Riyadh a Beirut. Le monarchie del Golfo e
Tel Aviv guardano ormai con costante preoccupazione la forte influenza
conquistata in Medio Oriente dall’Iran e dai suoi alleati libanesi
rappresentati da Hezbollah.
Proprio Hezbollah, per bocca del suo leader Hassan Nasrallah,
ha fatto sapere ieri che non ha mandato armi in Yemen e ha negato di
essere responsabile del razzo sparato recentemente dai ribelli yemeniti
houthi in direzione della capitale saudita Riyadh. In un
discorso televisivo, Nasrallah ha detto che “non abbiamo mandato né
missili balistici, né armi avanzate, né pistole allo Yemen o al Bahrain o
al Kuwait” ma solo missili anti-carro nella “Palestina occupata”.
Il leader del Partito di Dio ha poi difeso il suo gruppo dai
duri attacchi di domenica della Lega Araba che ha definito la sua
organizzazione un “gruppo terroristico”. Nasrallah ha definito le
dichiarazioni “spiacevoli, ma non nuove” e ha chiesto
ironicamente ai ministri degli esteri arabi riuniti al Cairo per il
vertice perché non hanno speso una parola sulla “guerra distruttiva”
compiuta dalla coalizione a guida saudita in Yemen. Ha poi affermato che
ritirerà un gran numero dei suoi combattenti dall’Iraq quando
l’autoproclamato Stato Islamico (Is) sarà sconfitto.
A difendere Hezbollah è stato anche il movimento palestinese Hamas:
per gli islamisti, infatti, sono le azioni d’Israele contro i
palestinesi a dover essere definite come atti di “terrorismo”. Hamas ha
poi esortato gli stati arabi a “sostenere la legittima lotta del popolo
palestinese” invitandoli a lavorare insieme per risolvere le differenze
attraverso il dialogo.
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