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27/11/2017

Le ambiguissime connivenze della Cgil sull’alternanza scuola lavoro

Di recente abbiamo appreso di una pubblicazione online su Prezi a cura della FLC sul tema dell’alternanza scuola-lavoro. Leggere questa presentazione dal titolo Tutor CGIL e alternanza scuola lavoro (https://prezi.com/view/cUmotzQ5QPcdEWgFnnCF/) è stata per molti l’ennesima conferma dell’ambivalenza stridente in cui naviga questa organizzazione sindacale, che nemmeno un anno fa fingeva di spendersi nella raccolta firme per un referendum sull’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro. Da anni diciamo che le azioni di pompieraggio, la totale assenza di contrasto reale alle politiche governative, dal Jobs Act alla Buona scuola con le sue leggi-delega, sono un chiaro segnale del collateralismo politico di un sindacato che non può che definirsi “giallo”. Questo documento oggi dimostra una volta di più quanta distanza ci sia tra la CGIL e il mondo della scuola fatto di studenti e lavoratori che stanno sperimentando sulla propria pelle il peggio della cosiddetta Buona scuola. Addirittura chi osa criticare le posizioni espresse in questo documento – come la collega Marina Boscaino, alla quale va tutta la nostra sincera solidarietà – viene insultato e tacciato di corporativismo (parole in libertà).

Per la FLC evidentemente va tutto bene, visto che a chiare lettere in questo documento si afferma che l’alternanza scuola-lavoro “non è una perdita di tempo ma uno strumento per innovare la scuola”, è “un concetto potente per l’azione sindacale”, anzi più avanti l’alternanza addirittura serve a “innovare la CGIL”. Il significato di queste frasi ci sfugge, soprattutto quando in altre slides si cita a sproposito Karl Marx o ci si riferisce al dettato costituzionale “la Repubblica è fondata sul lavoro” pervertendo completamente il reale senso dell’art. 1. Il tutto viene drammaticamente condito con il costante richiamo alla didattica per competenze. Attraverso diversi passaggi teorici e politico-burocratici, il concetto di competenza è divenuto oggi centrale nel contesto scolastico italiano. Le competenze si sono trasformate nella finalità del processo di insegnamento-apprendimento perché la loro centralità è molto legata alle scelte politiche e alla direzione che lo Stato italiano ha preso e sta prendendo sull’istruzione pubblica e sulla sua funzione. Impossibile slegare questo percorso da quello dell’Unione Europea, che ha fatto suo il concetto di competenza molti anni fa ormai. E sicuramente la scelta è avvenuta in un’ottica di scelte politiche ed economiche precise, quelle che hanno portato all’abbandono dell’Europa del Welfare in favore dell’Europa dell’economia della conoscenza.

Quando nel 2015 nelle assemblee sindacali abbiamo cominciato ad analizzare la famigerata “Buona scuola”, uno dei temi più discussi è sempre stata l’alternanza scuola-lavoro. Spacciata come innovazione della riforma renziana, osannata come soluzione allo svecchiamento della formazione giovanile e propagandata attraverso un linguaggio accattivante, questa intrusione dell’impresa privata nelle scuole statali, nelle ore di didattica, nel tempo scuola dei giovani minori, ci è apparsa fin da subito come la ciliegina sulla torta dell’assalto definitivo alla scuola della costituzione: ai processi di aziendalizzazione e di privatizzazione, infatti, si è aggiunta con l’alternanza scuola-lavoro anche l’educazione allo sfruttamento e al lavoro senza tutele.

In questi primi due anni di alternanza scuola-lavoro abbiamo visto cosa sta cambiando nelle nostre scuole: genitori entusiasti delle esperienze di lavoro perché viste come “agganci” per una promessa di lavoro in futuro; docenti che prestano attività di tutoraggio senza la consapevolezza che queste attività non hanno nulla a che vedere con la funzione docente e pertanto non sono obbligatorie, senza considerare i rischi e le responsabilità verso gli studenti minori in formazione presso una qualunque azienda esterna alla scuola; studenti che passivamente si stanno adattando e vedono in queste esperienze un percorso naturale di gavetta/precariato non retribuito; studenti che fanno fatica anche a protestare e denunciare le condizioni più indegne in cui svolgono la propria alternanza scuola-lavoro per paura di subire una valutazione negativa (si vedano i fatti di cronaca relativi agli abusi sessuali e agli incidenti nei cantieri durante le ore di alternanza); dirigenti scolastici disposti a stipulare convenzioni con enti pubblici e privati senza il minimo controllo dell’azienda ospitante e delle condizioni di lavoro degli studenti; famiglie che pagano fino a 400 euro (sono il 38%) per far completare ai figli le ore obbligatorie. Da una indagine dell’UDS sappiamo, inoltre, che più del 40% degli studenti che in questi anni hanno svolto alternanza scuola-lavoro ha visto totalmente negati i propri diritti.

Tutto questo sfacelo la CGIL non lo vede, non lo denuncia, non lo combatte. Noi non vediamo nessuna occasione nell’alternanza scuola-lavoro, non lo riteniamo un concetto potente per l’azione sindacale, non pensiamo che i nostri studenti debbano continuare a perdere ore di scuola per essere educati alla precarietà e sperimentare condizioni di lavoro sfruttati e senza diritti.

Ecco perché già da tempo l’USB Scuola sostiene che la legge 107 non può essere riformata, emendata, attenuata, modificata. L’unica soluzione possibile è la sua totale abolizione. Ed è per l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro che ci battiamo ogni giorno anche sostenendo le legittime mobilitazioni studentesche di queste e delle prossime settimane.

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