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17/11/2017

Tu vuò fa l’americano... ma si ‘nnato a Pomigliano

Di Maio torna dagli Stati Uniti. Come uno scolaretto in gita per la prima volta a Disneyworld, il Candidato premier a Cinque Stelle non smette di fare video sui social per dirci: “Ho incontrato questo Congressman”, “Ho incontrato quello al Dipartimento di Stato”, “mi hanno detto questo”, “credevano che fossimo questo” e poi il “Dipartimento di Stato apprezza il nostro lavoro” etc.

Si scoprirà poi che le persone incontrate da Di Maio non sono il “Dipartimento di Stato” o “Congressman” di peso, ma le terze, quarte e quinte file. Non il massimo del trattamento, insomma. Ma per incontrare le persone che contano davvero, il leader Cinque Stelle deve superare tante altre “prove” di fedeltà.

Siamo solo al primo passaggio.

Si conclude in questo modo l’opera di “normalizzazione”, come l’aveva definita Di Maio alla partenza, che è sintetizzabile in una serie infinita di “ma anche”: la Nato non si discute e gli Stati Uniti sono il principale alleato, ma anche la Russia è un interlocutore e le sanzioni vanno riviste.
Le missioni internazionali vanno bene ma quella in Afghanistan no. I soldi per le spese militari vanno bene ma sono troppi. Etc.

Una serie di “ma anche” continui. Però, a far tornare sulla terra Di Maio, a far capire chi comanda realmente, a mettere subito in chiaro che il rapporto non è alleato-alleato, è proprio il Dipartimento di Stato, il quale conferma – sì – tutte le prime parti dei ragionamenti del Candidato Cinque Stelle, ma esclude tutti i “ma anche”.

Secondo quanto riporta l’Ansa, il vicesegretario di Stato USA per gli affari europei Tribble ha dichiarato che le sanzioni alla Russia restano. Ha sottolineato “l’importanza dell’unità transatlantica in risposta all’aggressione russa in Ucraina”, e rimarcato come “l’impegno condiviso degli alleati Nato ad aumentare gli investimenti nelle capacità difensive resterà una priorità per gli Stati Uniti”. Così come l’impegno NATO in Afghanistan. Quella stessa NATO da cui l’Italia non ha intenzione di uscire, come si affrettato a dichiarare Di Maio.

Non ci sono “ma anche”, non ci sono margini di trattativa possibili. A ordine si esegue. Punto.

Questo vale a Washington, ma anche a Bruxelles, dove, forse non a caso, parallelamente con la visita di Di Maio, Fabio Massimo Castaldo diventava vice presidente del Parlamento europeo.

Quella stessa Bruxelles dove si prepara già la nuova letterina da inviare (con tutto il programma politico da eseguire per la prossima legislatura). Chi non ricorda quella famosa lettera di Jean Claude Trichet e Mario Draghi del 5 agosto 2011 che aveva al suo interno tutte le “riforme” di Monti, Letta e Renzi (distruzione della Costituzione compresa)?

Davvero il Cinque Stelle pensa di trasformare l’Italia e porre nuovamente al centro salute, lavoro e istruzione facendosi inglobare da questi poteri?

Perché il Di Maio che “vuò fa l’americano...” è nato a Pomigliano, uno dei simboli del lavoro in Italia. Quel lavoro che, come dimostra proprio il caso della Fiat a Pomigliano, in Italia è stato svenduto, stuprato, delocalizzato, umiliato, ucciso. Eppure la nostra Costituzione nel primo articolo impone a tutti coloro che si prefiggono di guidare la Repubblica un mandato preciso, inderogabile da portare avanti.

Ma per farlo c’è una sola via: rompere e non normalizzare con quei poteri. Non ci possono essere compromessi, terze vie. Non ci possono essere “ma anche”.

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