“Se prendi brutti voti a scuola è soltanto colpa tua”, “se decidi di abbandonare gli studi significa sei un ragazzo sfaticato o non abbastanza capace…”. A chi non è mai capitato di sentire discorsi e riflessioni di questo tipo? Sono ragionamenti largamente diffusi nel mondo della scuola e nella società, tanto che vengono spesso dati per assunti nelle discussioni, come verità consolidate. Come spesso accade, però, la realtà è ben più complessa delle semplificazioni che quasi mai combaciano con i fatti.
Sono ben 130 mila i ragazzi che rinunciano al proprio percorso di studi ogni anno. Nelle scuole secondarie di secondo grado il tasso di abbandono in un anno è stato del 4,3%, pari a 112mila studenti, mentre in quelle di primo grado la percentuale è dell’1,35%, che corrisponde a 23mila alunni. Inoltre se si analizzano le aree e le condizioni socio-economiche di partenza dei ragazzi, è evidente come il sistema d’istruzione italiano sia profondamente classista.
Una scuola che dovrebbe essere pubblica ed aperta a tutti, ma che in realtà non riesce a colmare le disuguaglianze, e anzi queste vengono ad acuirsi ancora di più, soprattutto dopo le varie riforme che si sono susseguite negli ultimi 20 anni dai governi di centro-destra e di centro-sinistra. Punto che accomuna tutte queste varie riforme è sicuramente il tentativo di creare una netta differenza tra gli istituti sia dal punto di vista didattico e formativo, che dalla composizione sociale degli studenti che la frequentano. Da una parte le scuole d’élite o di serie A, frequentate dagli studenti più “meritevoli” e che possono spendere ingenti somme per l’istruzione, dall’altra, scuole di Serie B ovvero delle “scuole pollaio” e di periferia, degli istituti tecnici e professionali.
Ad essere condizionato, secondo i dati raccolti da Save The Children, è anche il rendimento scolastico: il tasso di bocciature aumenta sensibilmente nelle scuole frequentate prevalentemente da ragazzi proletari, bocciati sei volte di più dei loro coetanei.
Questo avviene perché le famiglie non riescono a sborsare altre centinaia di euro per ripetizioni private o corsi aggiuntivi. I corsi di recupero, organizzati dalle scuole, risultano quasi sempre insufficienti a causa della mancanza di fondi e spesso la partecipazione è legata anche al versamento del contributo volontario che viene imposto sempre di più agli studenti per sopperire alla mancanza di investimenti statali. Inoltre circa uno studente di 15 anni su 2 (il 47%) proveniente da un contesto svantaggiato, secondo lo studio, non raggiunge il livello minimo di competenza in lettura. Un numero elevatissimo, circa otto volte di più, rispetto a un coetaneo cresciuto in una famiglia agiata. Questo ci dimostra che la didattica nelle scuole, soprattutto tra quelle considerate di “serie B”, ha subito un profondo tracollo qualitativo. Una didattica completamente appiattita che non è in grado di sviluppare nessun pensiero critico dello studente. Una didattica che in sostanza diventa funzionale alle esigenze del mercato.
Le famiglie italiane già quando il figlio compie 14 anni si ritrovano di fronte ad una scelta. Devono decidere in base alla propria condizione economica tra un liceo o un istituto tecnico e professionale, tralasciando spesso l’attitudine del proprio figlio. La maggior parte degli studenti che abbandona la scuola prima di aver conseguito il diploma lo fa perché preferisce lavorare, magari in nero, per contribuire alle spese della propria famiglia. Abbandona la scuola perché non può permettersela, e perché magari in futuro non potrà nemmeno iscriversi all’università. Per questi motivi circa il 60% dei ragazzi in un anno intero non legge neanche un libro, oppure non partecipa a nessuno spettacolo teatrale e non pratica sport.
Non è colpa delle famiglie a basso reddito – per rispondere alla ministra Fedeli – se gli studenti ottengono spesso pessimi voti, o se abbandonano la scuola prima del diploma. I responsabili di questo disastro sono i governi che hanno piegato in ginocchio la scuola pubblica e che hanno costretto milioni di giovani ad un futuro di miseria e precarietà.
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