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24/11/2017

I giornalisti non devono ficcare il naso, ma possono “obbedir tacendo”

Se un giornalista va a “ficcare il naso” dove non dovrebbe, può ricevere una capocciata sul naso stesso, come accaduto di recente a Ostia. Ad altri è andata molto peggio e ci hanno lasciato la vita. Ad altri ancora può succedere che la “capocciata dissuasiva” si presenti in divisa. Ma la cosa non sta suscitando il dovuto clamore che abbiamo visto in altre e recenti occasioni.

Venerdì scorso infatti, fa la Guardia di Finanza con una perquisizione ha acquisito documenti e tutti i file informatici del giornalista Nicola Borzi nelle sedi di Milano e Roma del quotidiano economico ‘Il Sole 24 Ore’, nell’ambito dell’inchiesta sul finanziamento dei servizi segreti attraverso conti correnti accesi nella Popolare di Vicenza.

Il provvedimento è stato disposto dalla Procura di Roma nei confronti dell’autore di un’inchiesta comparsa su Il Sole 24 Ore eppure – e stranamente – “tenuta molto bassa” nell’attenzione dei media. Ieri un articolo il nostro giornale ha dato rilievo a quanto era stato rivelato da quella inchiesta, perché metteva i “piedi nel piatto” del rapporto perverso tra informazione e apparati di intelligence dello Stato.

L’Ordine dei giornalisti di Milano ha preso posizione attraverso il suo presidente della Lombardia, Alessandro Galimberti, il quale ha chiesto che “il Csm faccia chiarezza”. “L’accesso della polizia giudiziaria della Gdf nella redazione e nel sistema informatico del Sole 24 Ore – sottolinea – ripropone con forza il tema della proporzionalità degli atti di indagine delegati dalla Procura, e perciò del rispetto dei diritti dei giornalisti, delle loro fonti e, in definitiva, dei lettori-cittadini. Non è ammissibile che gli ufficiali di Pg ritengano di avere accesso – su delega in questo caso del procuratore capo di Roma – a tutta la memoria informatica dei dispositivi del giornalista, perchè questo configura un chiaro eccesso (abuso) rispetto alle finalità dell’inchiesta”. “Sul punto – conclude Galimberti – sarebbe opportuno che il Csm indicasse le linee guida delle attività investigative delle Procure nei confronti della stampa, un tipo di ingerenza peraltro già difficile da ammettere in una democrazia veramente compiuta”.

Dopo la pubblicazione dell’articolo su Il Sole 24 Ore, il magistrato Aldo Morgigni, consigliere togato di Autonomia e Indipendenza al Csm, (la corrente che ha come leader il giudice Piercamillo Davigo), ha annunciato la presentazione di una denuncia e la richiesta di apertura di un’inchiesta interna al CSM. “E’ un fatto molto grave”, ha detto il consigliere ipotizzando “un’attività di dossieraggio ai danni dei componenti del Csm”. L’inchiesta dovrebbe servire per far luce “sui soggetti che possono aver percepito denaro dai servizi segreti e sulle ragioni”.

Nell’inchiesta su questi conti bancari usati dai servizi segreti, è venuto fuori anche il nome di un’altra banca inglobata nella Banca Popolare di Vicenza – Banca Nuova con sede in Sicilia. Entrambe sono state recentemente acquisite a loro volta da Banca Intesa al costo di “1 euro”. I servizi segreti italiani, per molti anni, hanno infatti appoggiato i loro conti proprio su Banca Nuova, la controllata siciliana del Gruppo Banca Popolare di Vicenza. La stessa cosa ha fatto per diversi conti bancari Palazzo Chigi.

Banca Nuova ha una raccolta intorno ai 3,5 miliardi e di questi, all’epoca, oltre 1 miliardo arrivava dai servizi di tesoreria dello Stato. I conti sarebbero stati chiusi nel 2014. Nella documentazione, ci sono quasi 1.600 transazioni per un valore di oltre 640 milioni di euro, in gran parte relativi alle due agenzie di intelligence: la Aisi, e in parte minoritaria la Aise. Adesso la Procura di Roma (sempre la procura di Roma in questi casi) sta indagando per rivelazione di documentazione coperta dal segreto di Stato. Nel frattempo Banca Intesa ha “blindato” tutte le informazioni sui conti bancari ereditati con l’acquisizione della Banca Popolare di Vicenza.

Contestualmente assistiamo all’assordante silenzio del mondo dell’informazione e del giornalismo, il quale tace o infila la testa sotto la sabbia nonostante venga indagato e perquisito un giornalista. Uno spettacolo penoso ma illuminante sul rapporto tra apparati dello Stato e sistema dei mass media nel nostro paese.

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