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15/11/2017

Qui iure suo utitur neminen laedit: saggezza latina contro l’attacco al diritto di sciopero Maran style*

di Dafne Anastasi

Sono una delegata del sindacato che lei non nomina: la USB. Uno dei tre sindacati che hanno proclamato lo sciopero del 10 novembre su cui lei, non pago della dichiarazione sullo sciopero delle donne, ha ritenuto di intervenire pubblicamente.

Gli scioperi sono il suo pallino. Ricordo perfettamente che all’indomani dello sciopero contro la violenza l'otto marzo lei si scattò una bella foto con la metro vuota ma funzionante e definì lo “sciopero finto” e “la piattaforma di rivendicazione risibile e che squalifica il sindacato che l’ha proposta”. E giù appelli al senso di responsabilità. Una piattaforma di 8 punti con cui centinaia di donne riunite in assemblee intrecciarono le rivendicazioni venne definita “risibile”con buona pace della democrazia partecipativa e di chi lotta contro la violenza cogliendone il dato strutturale, economico, culturale e istituzionale.

Risibile, dunque, la discriminazione di genere, il gap salariale, la molestia nei luoghi di lavoro, la chiusura dei centri antiviolenza, la mancanza di reddito, la formazione degli operatori sociali, sanitari e del diritto per citare solo alcuni dei punti della piattaforma.

Tornando all’oggi: tecnicamente trovo inquietante che un uomo appartenente alle Istituzioni non conosca o ometta la differenza tra sciopero generale e sciopero dei trasporti, che non abbia idea delle realtà (tre non una) che hanno proclamato lo sciopero del 10, che partecipi alla narrazione checcozaloniana del venerdì. Per non dire che altre sigle del sindacalismo di base avevano a loro volta proclamato sciopero generale in questo autunno.

Queste sue, diciamo, così, inesattezze e prospettive espressive hanno fatto un altro pezzetto di lavaggio del cervello. Tecnica del sospetto. Divide et impera per contrapposizione.

La differenza tecnica tra sciopero generale e sciopero dei trasporti. Il nostro era uno sciopero generale, non solo dei trasporti. Lei come i media mainstream avete fornito una narrazione deviata dello sciopero: una boicottatina qua e là non fa male e il venerdì nero delle fanfare mediatiche non si nega a nessuno.

La sua omissione descrittiva oltre a contribuire alla disinformazione di massa ha invisibilizzato non solo le lotte sul lavoro, ma le stesse condizioni materiali di migliaia di persone. Lo sciopero metteva insieme lavoratori garantiti, lavoratori precari, lavoratori pubblici e privati, nuove generazioni e pensionati, migranti con nativi: ricuciva la frammentazione del mercato del lavoro nelle sue premesse e nelle sue analisi d’insieme. La piattaforma ricomprendeva anche la richiesta di ritiro di leggi come il Jobs Act, Riforma Fornero, legge 107, alternanza scuola lavoro, Leggi gemelle Minniti. Denunciava il taglio dello Stato Sociale, le privatizzazioni in cui la Lombardia fa da apripista persino in un settore come la Sanità, la dismissione di aziende strategiche e la demolizione dello Stato Sociale, il sistema di sfruttamento delle cooperative. Esprimeva il rifiuto dell’odio sociale-razziale come strumento normalizzante del divide et impera.

Uno sciopero generale per uscire dall’Ottocento dei diritti che il suo partito ha creato con le sue leggi antisociali, per rigettare al mittente ogni forma di guerra tra poveri che il suo partito ha trasformato con le leggi Minniti in guerra ai poveri e alle marginalità sociali.

Ecco, lei ha ricalcato il meccanismo della contrapposizione tra categorie, nello specifico tra persone, cittadine e scioperanti, quel meccanismo di lavaggio del cervello per il quale l’esercizio del diritto di qualcuno è il freno al diritto di qualcun altro, in una fisica dei vasi comunicanti al ribasso. D’altronde è molto semplice il gioco: si costruisce l’arma di distrazione di massa che porterà a far si che il penultimo se la prenda con l’ultimo della catena sociale evitando cosi di far individuare nei soggetti politici ed economici, nazionali e internazionali, i veri responsabili delle condizioni materiali di milioni di persone e facendo vedere come l’altro da sé che alza la testa come l’egoista che scippa talora un pezzo di tempo, di futuro, di lavoro, di casa, di asilo et cetera.

E poi, chi le dice che nel momento stesso in cui un lavoratore, una lavoratrice dei trasporti sciopera, non lo stia facendo solo per il proprio interesse ma magari anche per la sicurezza di altre persone “disagiate”? Turni, pedali, luci, linee guida, età avanzata: non sono forse fattori di rischio che riguardano le cittadine e i cittadini?

E invece no, si crea la contrapposizione ad arte e la tutela del disagio altrui diventa il pretesto paternalista per la museruola allo sciopero, già disciplinato in maniera stringente nei servizi pubblici essenziali.

Poi con la sfera di cristallo prosegue “le adesioni agli scioperi di questa sigla sono sempre basse, avendo scarsa rappresentatività in Atm”. ATM che era pronta per lo spezzatino, intende?

A parte che lavoratrici e lavoratori delle trenord, degli aerei, dei treni non sono figli di un trasporto minore, le ricordo che il diritto di sciopero è un diritto delle persone che lavorano, individuale ma che può essere esercitato soltanto in forma collettiva.

Lo sciopero è un diritto e la possibilità di adesione prescinde dalla sigla che lo ha indetto. Avevo sentito questa equazione sigla proclamante = adesione sempre per lo sciopero l'otto marzo: questa fu, infatti, la motivazione farlocca con la quale sono state create delle vere e proprie campagne di terrorismo psicologico nei confronti delle donne che avrebbero voluto scioperare.

Quando le lavoratrici e i lavoratori scioperano, rimettendoci una giornata di lavoro in busta paga, bisognerebbe chiedersi il perché si sciopera, ma in Italia la consuetudine è diversa. L’obiettivo fondamentale diventa non solo quello di attaccare chi indice e chi aderisce allo sciopero, ma il senso e il valore dello sciopero come strumento di conflitto e di risoluzione delle controversie sui posti di lavoro. Poi prosegue definendo lo sciopero “la solita finta”. Eccola, arriva anche lei: la tecnica del sospetto e della derisione. Pirandelliani avversari politici.

Poi, addirittura paventa indignazione e si lancia col mezzo eziologico del bonus pater familias parlando di precettazioni ex post, ignorando forse che le precettazioni ci sono già eccome. Come dimenticare i precettati di EXPO 2015 o da ultimo le precettazioni perché c’è turismo, c’è bel tempo, c’è da fare shopping. E blablabla. Un diritto patrimoniale di qualcuno contro qualcun altro sempre un gradino sopra a giustificare la restrizione al diritto di sciopero e alla visibilità nelle piazze.

Le persone che si muovono di qua, quelle che scioperano di là e lei mira “ad una nuova regolamentazione che consenta di scioperare quando giustamente c’è un conflitto che lo necessita e di tutelare chi si muove in tutti gli altri casi”.

Chi lo decide il conflitto necessitato e il conflitto immeritevole? Il destinatario delle richieste? L’autore delle norme che si contrastano? Montesquieu, quanto meno nei suoi principi ispiratori, avrebbe qualcosa di ridire. Assessore, mi faccia capire: dovremmo chiedere permesso per scioperare? Dovremmo subire la progressiva distruzione aspettando i tempi degli stessi sindacati che rappresentano concausa dell’attuale cornice normativa e materiale? Noi non vogliamo abbaiare alla Luna, noi vogliamo mordere e non assisteremo inerti allo smantellamento progressivo dei pilastri della civiltà giuridica.

Certo un uomo delle Istituzioni dovrebbe anche avere maggiore onestà intellettuale nel rappresentare l’esistente invece di autotributarsi un imprimatur e voler apparire come il padre in salsa meneghina della modifica alla legge sullo sciopero o sulla rappresentatività. Le piace fare gli assist, a me invece piace il contropiede e allora le ricordo che questi progetti esistono già e che la fantasia al potere non è certo sua caratteristica.

Le cito quanto riportato pochi giorni fa sul Corriere della Sera.

“L’emendamento dovrebbe essere messo ai voti la prossima settimana nella commissione Bilancio del Senato, che sta discutendo la manovra. In queste ore si lavora alla raccolta delle adesioni per consentire alla norma di passare. Nei mesi scorsi il governo aveva detto che, sul tema della regolamentazione degli scioperi, si sarebbe rimesso alla decisioni del Parlamento”.

Sul finale scrive “un annuncio di sciopero senza adesione ogni venerdì” (scioperi che si moltiplicano come i pani e i pesci nell’arco temporale di un articolo) e consacra la tecnica del sospetto e della denigrazione.

Quando finisce di elaborare la sua definizione di conflitto necessitato la comunichi alla Procura di Piacenza, dove un magistrato è riuscito a elaborare il teorema dell’estorsione contro dei sindacalisti in sciopero. Siccome al magistrato non sembrava necessario, lo sciopero è diventato un mezzo per conseguire “un ingiusto profitto patrimoniale”.

Io nel frattempo le anticipo una notizia: la piattaforma “risibile” è andata avanti. In un anno con decine di assemblee territoriali e nazionali si è trasformata in un piano femminista dal basso contro la violenza che fa da controcanto autonomo al dpo governativo e il 25 novembre la rete Non una di meno tornerà a inondare le piazze. Sa com’è la Storia si cambia senza chiedere permesso.

Piefrancesco Maran è l’Assessore al Territorio del Comune di Milano

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