Un articolo uscito il 16 novembre scorso, ha svelato non solo l’esistenza di molti conti bancari dei servizi segreti – l’Aisi in questo caso – dentro la Banca Popolare di Vicenza, (oggi al centro di una nuova tormenta bancaria), ma anche e soprattutto l’obiettivo di questa liquidità finanziaria dei servizi segreti: far arrivare soldi a chi in qualche modo è vicino o dà una mano all’attività dei servizi. Si tratta dei cosiddetti agenti di influenza (“attività condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo”; definizione vaga, o comunque vasta, che inquadra ambiti tipici della politica).
Tra questi, è scritto testualmente, una tipologia di influencer davvero particolare: “Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali”. Cominciano così ad essere più chiare le motivazioni di alcune “sovraesposizioni” o, al contrario, omissioni e rimozioni nel sistema informativo del nostro paese. Del resto il caso dell’agente Betulla (l’ex vicedirettore di Libero, Farina, ndr) non è ancora finito nel dimenticatoio.
Quindi si conferma l’attenzione dei servizi segreti verso soggetti che hanno il compito di “influenzare” l’opinione pubblica tramite i talk show o trasmissioni, o addirittura in settori di movimento. Naturalmente in cambio di una munifica ricompensa monetaria. L’inchiesta del Sole 24 Ore si guarda bene dal rivelare i nomi di questi beneficiari dei finanziamenti dei servizi segreti nel mondo dei media e dei centri sociali, adducendo difficoltà (anche se dai dettagli si capisce che ne sono perfettamente a conoscenza tramite documenti “letti in chiaro”), ma la loro funzione emerge in modo piuttosto esplicito.
Occorre evitare come la peste la logica del sospetto indiscriminato, che ha la storica funzione di seminare tensioni, disgregazione, divisioni e recriminazioni che aumentano le difficoltà di ricomposizione di un fronte di classe; ma occorre smettere di essere ingenui e fare altrettanta attenzione proprio a quegli agenti di influenza – nei media e non – che operano per creare tensioni, disgregare, dividere, disorientare e alimentare recriminazioni infinite, che ritardano o ostacolano i possibili processi di avanzamento del conflitto sociale e di una sua espressione politica organizzata e non strumentalizzata dai fascisti.
Riuscire a scoprire chi, nel mondo dei mass media o magari più vicino ad ambiti “di movimento”, è stato destinatario di uno o più bonifici tramite la Banca Popolare di Vicenza aiuterebbe a ricostruire un quadro. A liberarsi di qualche piattola fastidiosa. Potrebbe essere solo questione di tempo.
Qui di seguito il testo dell’articolo de Il Sole 24 Ore sui conti correnti della Banca Popolare Veneta.
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La Popolare di Vicenza e i conti dei servizi segreti
Nicola Borzi
Quasi 1.600 operazioni bancarie, in ingresso e in uscita, per un controvalore di oltre 642 milioni, in un periodo compreso tra il 17 giugno 2009, all’epoca del quarto governo Berlusconi, e il 25 gennaio 2013, durante il governo Monti. Di queste transazioni ben 425, per 43,2 milioni, erano in capo all’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi) e altre 20, per 6,2 milioni, alla gemella Aise.
Il singolo trasferimento di fondi più “pesante” è datato 16 marzo 2012: 88,5 milioni. Molti pagamenti sono stati realizzati tramite comuni strumenti di home banking. Date, identificativi, numeri di conto, causali: noleggi di auto e moto, saldi di fatture a fornitori, versamenti a società e persone, quietanze di affitti. Soprattutto nomi. Questo è l’“estratto conto” della Presidenza del Consiglio e dei Servizi segreti nazionali contenuto in decine di pagine di documenti “in chiaro” che Il Sole 24 Ore ha potuto visionare. Una costante unisce questa mole di dati: provengono tutti dal gruppo Banca Popolare di Vicenza.
Il materiale di questo “BpVi leaks” va letto come un “estratto conto”: una selezione, appunto, dei legittimi rapporti bancari intercorsi tra Palazzo Chigi e l’allora Popolare. Rapporti il cui inizio potrebbe essere retrodatato probabilmente ai primi anni 2000 e forse anche prima. Di certo BpVi non è stata l’unica banca operativa con i Servizi: lo testimoniano tre giroconti con Bnl, datati 15 febbraio 2010, per un totale di 9 milioni registrati dall’Aisi nella filiale romana numero 895 — non più operativa — di Banca Nuova.
Quanto ai nomi, è impossibile stabilire se le identità siano reali, poiché con i normali strumenti giornalistici non è dato verificarli né accertare eventuali omonimie. Ma i controlli condotti sulle fonti aperte avvalorano l’impianto complessivo dei file, che appaiono consistenti. Insieme a schiere di anonimi sparsi in tutta Italia, tra i beneficiari dei versamenti ci sono i nomi di contabili del ministero dell’Interno «inquadrati nel ruolo unico del contingente speciale della Presidenza del Consiglio dei ministri», personale della Protezione civile e del Dipartimento Vigili del fuoco, funzionari del Consiglio superiore della Magistratura. Poi avvocati, dirigenti medico-ospedalieri, vertici di autorità portuali e di istituzioni musicali siciliane.
Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali. Ma soprattutto i vertici dell’intelligence italiana, dotati di poteri di firma sui conti, e alti funzionari territoriali dei Servizi e delle forze dell’ordine: ufficiali del Carabinieri con ruoli in sedi estere, ispettori della Polizia di Stato coinvolti nel processo dell’Utri del 2001, dirigenti dell’ex centro Sisde di Palermo già noti alle cronache per vicende seguite all’arresto di Totò Riina. C’è pure un anziano parente del “capo dei capi” di Cosa Nostra (o qualcuno con lo stesso nome). E ci sono impiegati di Banca Nuova. O, ripetiamo, loro omonimi.
Oltre ai Servizi e a BpVi, un solo soggetto ha tutti gli strumenti per dare risposte precise: è la padovana Sec, il centro servizi informatici che, prima del salvataggio del Fondo Atlante e della cessione a Intesa Sanpaolo, era partecipato da una decina di soci capitanati da BpVi (la capogruppo deteneva il 47,95% del capitale di Sec, Banca Nuova l’1,66%) e Veneto Banca (con il 26,13% del capitale).
Il database della Sec è la chiave per capire quali legami collegavano Vicenza ai servizi segreti della Capitale e di Palermo: partendo, ad esempio, dai codici relativi alla banca (33 identifica l’ex Popolare Vicenza, 61 invece Banca Nuova), a quelli delle filiali, all’identificativo del cliente (il cosiddetto “Ndg”) e al numero di conto. Proprio l’istituto siciliano del gruppo BpVi è centrale, per più di un motivo, in queste carte. Alcuni addetti della Sec, che in questi giorni seguono la “migrazione informatica” al gruppo Intesa Sanpaolo, sono di certo in grado di ricostruire la mappa delle informazioni.
La società consortile di informatica per il settore creditizio non è stata, dunque, soltanto un hub tecnologico. Non pare un dettaglio casuale il fatto che Samuele Sorato, l’ex consigliere delegato della Vicenza, avesse iniziato la propria scalata interna al gruppo BpVi partendo come semplice ragioniere programmatore proprio da Sec. Né lo è il fatto che il braccio destro nonché uomo di fiducia di Gianni Zonin non abbia mai abbandonato la carica di presidente della società di servizi padovana, sino ai dissidi con Zonin e alle sue dimissioni del maggio 2015. Lo stesso Samuele Sorato, secondo alcune fonti, avrebbe esercitato un forte controllo diretto sulla Sec. Eppure, sempre secondo queste fonti, i sistemi di sicurezza del database di Sec sarebbero inadeguati: «Il sistema informativo è carente sotto tutti i profili».
Che i sistemi informatici del gruppo Popolare di Vicenza fossero attentamente monitorati dall’interno è indicato anche da alcune recenti dichiarazioni rilasciate alla Commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche, secondo le quali durante le ispezioni di vigilanza le procedure informatiche dell’ex Popolare di Vicenza erano costantemente a rischio di essere disattivate “dall’alto” in qualsiasi momento, a seconda della bisogna. La scelta della Vicenza come interfaccia bancaria di Palazzo Chigi pare dunque basata più su logiche “politiche” che di qualità dei servizi — con o senza l’iniziale maiuscola.
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