di Chiara Cruciati
Dopo i ministri è la
volta dei segretari generali dei ministeri: la rimozione dei vertici
amministrativi del governo marocchina prosegue. A portarla avanti è re
Mohammed VI, la ragione sta nella mancata attuazione dei progetti di
sviluppo nell’area di al-Hoceima e nella regione settentrionale del Rif.
È la risposta che la monarchia prova a dare ad una
popolazione dimenticata e marginalizzata, che dall’ottobre dello scorso
anno è tornata nelle piazze per chiedere giustizia sociale e
redistribuzione delle ricchezze. Poche settimane fa erano saltati
quattro ministri – Mohamed Hassad, ministro dell’Educazione; El
Houcine Louardi, Salute; Nabil Benabdallah, Edilizia; e Larbi
Bencheikh, segretario di Stato – e il direttore generale dell’Ufficio
Nazionale dell’acqua e l’elettricità. Colpevoli, secondo Mohammed VI, di
non aver realizzato il piano di investimenti nel Rif, lanciato nel 2015
e mai applicato: 670 milioni di dollari che in quattro anni
avrebbero dovuto migliorare le infrastrutture della regione, i servizi
pubblici e sanitari.
Non ci sono, dunque, i ministeri “forti”, quelli dell’Economia o
degli Interni. Da ieri, invece, si sono aggiunti i segretari generali
dei ministeri dell’Edilizia, la Cultura, il Turismo, l’Istruzione, la
Salute, ma anche quello alla presidenza del consiglio, Abdelouahed
Fikrat, licenziato per “gravi carenze nell’esecuzione del suo incarico”.
Oltre a ciò il governo ha previsto l’investimento di 720
milioni di dollari per finanziare progetti che riducano la disparità di
sviluppo economico tra città e zone rurali. Secondo il quotidiano L’Economiste,
il 74% del bilancio andrà alla costruzione di infrastrutture stradali
per collegare le aree più isolate e l’11% per infrastrutture
scolastiche. Il resto servirà allo sviluppo delle reti idrica e
elettrica.
Chiara è l’intenzione del re di evitare nuove esplosioni di rabbia
che in primavera e estate hanno interessato tutto il Rif per arrivare
alla fine alle grandi città della costa e alla capitale Rabat.
Richieste, quelle della popolazione, che non sono nuove: maggiore
eguaglianza sociale, lotta alla corruzione, sostegno all’occupazione e
fine della dura repressione delle forze di sicurezza. Già a luglio
Mohammed VI aveva aperto un’inchiesta per indagare i ritardi
nell’implementazione del programma del 2015 e ordinato ai ministri di
saltare le ferie per verificare i progressi fino a quel momento e
procedere oltre.
Ma se con una mano promette investimenti, con l’altra Rabat
punisce chi manifesta: martedì la corte di al-Hoceima, capoluogo del Rif
e principale centro delle proteste di quest’anno, ha condannato a 20
anni di prigione due manifestanti, accusati di aver dato alle fiamme una stazione di polizia all’inizio del 2017, e a pene da uno a 5 anni altre quattro persone.
I condannati sono membri del Movimento Popolare, Hirak al-Shaabi,
realtà di base nata nel Rif e in poco tempo divenuta l’anima delle
proteste.
La protesta di massa era stata già decapitata in estate, quando le
forze di sicurezza arrestarono centinaia di persone, tra cui il leader
di Hirak al-Shaabi, Nasser Zefzaki, tuttora in prigione: il processo
contro di lui e altri 53 imputati è cominciato alla fine di ottobre,
l’accusa è aver attentato alla sicurezza dello Stato.
Le tensioni però non si spengono: il 28 ottobre, in occasione del primo anniversario della morte di Mouhcine Fikri
– il venditore ambulante di pesce ucciso da un camion della spazzatura
mentre cercava di recuperare un pesce gettato via dalla polizia – e dell’inizio delle manifestazioni, le autorità marocchine hanno vietato qualsiasi forma di commemorazione. La polizia ha chiuso le strade e impedito la manifestazione organizzata dal Movimento Popolare.
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