Eccoli, stanno ricominciando, anzi non hanno mai smesso. Come nel 1992 e poi nel 2011. I pretoriani della Troika europea sono tornati alla carica – prima delle elezioni ed a governo in scadenza – sulla questione della riduzione del debito pubblico dell’Italia, a tutti i costi e chiunque vada a governare. Lo hanno fatto con la pesantezza di sempre, con un guanto di velluto a coprire un pugno di ferro e con la solita tiritera dei conti sforati e del debito pubblico da ridurre.
Avevano cominciato a menarcela nel 1992, quando il debito pubblico era al 103% del Pil. Hanno imposto le loro sanguinose ricette per la “riduzione del debito pubblico” e ce lo siamo ritrovati salito al 133%. Se la matematica non è una opinione vuol dire che le ricette imposte dal Trattato di Maastricht in poi (1992) sono fallimentari. Eppure nessuno che abbia il coraggio di dirlo, di smascherare un dispotismo tecnocratico europeo che ha salvato le banche tedesche e francesi, che ha assicurato le banche, le assicurazioni, i fondi di investimento privati italiani e stranieri che sono gli unici ad averci guadagnato sul debito pubblico del nostro e degli altri paesi periferici dell’Unione Europea.
E’ bene dirsi, ed è bene saperlo, che con questa gabbia ci troveremo ancora a fare i conti nei prossimi mesi, soprattutto se entro dicembre verrà approvato dai parlamenti il Fiscal Compact (trattato internazionale, ma non propriamente europeo, solo perché tra i paesi Ue non lo ha sottoscritto la Gran Bretagna uscitane poi con la Brexit, ndr).
Ma se sul piano politico la via d’uscita è chiara, almeno per noi e molti nostri lettori (ripudio del debito, nazionalizzazione delle banche, uscita dall’Eurozona e dall’Unione Europea), è bene che sul piano economico si conosca la situazione per quella che è, e come questo dimostri che soluzioni possibili “dentro la gabbia” non esistano, se non a costo di un massacro sociale e una involuzione autoritaria peggiore di quelli conosciuti dal nostro paese dal 1992 ad oggi.
Occorre “togliere potere al popolo”, perché il potere lo ha e lo deve avere solo l’Unione Europea, ha scritto esplicitamente ieri il Corriere della Sera e lo auspicano con forza da Bruxelles.
Ma qual’è la situazione del debito pubblico? E perché senza una rottura del sistema non ne verremo mai fuori?
Lo stato del debito pubblico e del debito privato nell’Eurozona
Utilizzando i dati della Bce, nel 2000 il debito pubblico dei paesi aderenti all’Eurozona ammontava a 68,1 mila miliardi di euro, pari al 68% del pil; nel 2007, alla vigilia della crisi americana, era sceso a 64,9 mila miliardi (- 3,2 mila miliardi), pari al 65% del pil (-3%); nel 2014 ha toccato il picco con 91,8 mila miliardi, pari al 91,9% del pil; nel 2016 si è ridotto ad 88,9 mila miliardi, pari all’89% del pil. Fra il 2007 ed il 2016, il debito pubblico dell’eurozona è aumentato di 20,8 mila miliardi di euro, ed il suo rapporto rispetto al Pil è cresciuto del 21%.
Per merito delle politiche espansive della Bce (il Quantitative Easing, ndr), il peso sugli interessi è diminuito nonostante l’aumento dello stock dei titoli di debito emessi, passando dai 3 mila miliardi di euro di metà 2012 a 2,2 mila miliardi a metà 2017. Ma è questo, per l’appunto, l’aspetto più critico: un aumento dei tassi ai livelli pre-Qe potrebbe risultare irrilevante.
All’interno dell’area euro, il debito pubblico ha avuto andamenti diversissimi. Tra il 2007 ed il 2017, sulla base dei dati del Fmi, in Spagna, anche per via della crisi bancaria, il debito pubblico è cresciuto del 63% sul pil, e di 760 miliardi di euro in valori assoluti; in Portogallo del 57,3% e di 124 miliardi; in Francia del 32,5% e di 959 miliardi; in Italia del 33,2% e quindi di 660 miliardi; in Germania dell’1,3% cioè di 505 miliardi.
L’andamento del pil ed il peso degli interessi da pagare sul debito hanno giocato un ruolo fondamentale nel definire la situazione del debito pubblico.
Per quanto riguarda il cosiddetto debito privato delle famiglie dell’Eurozona (determinato soprattutto dai mutui sulle abitazioni), secondo l’Eurostat, nel periodo 2006-2016 il rapporto rispetto al reddito disponibile è rimasto complessivamente inalterato nei dieci anni della crisi, cioè attorno al 93%. Ma la disaggregazione dei dati diventa interessante.
L’andamento nei singoli Paesi è stato assai difforme: in Gran Bretagna, si è abbassato, passando dal picco del 136,6% del 2008 al 126,4% del 2016 (-10,2%). I costi delle abitazioni in Gran Bretagna continuano ad essere proibitivi, ma il mercato immobiliare è ancora uno strumento speculativo assai diffuso, con molti acquisti di abitazioni effettuati al solo scopo di affittarli.
In Germania, il rapporto è diminuito in modo assai simile, passando dal 92,4% all’82,7% (-9,7%). La Spagna ha mostrato invece un andamento molto più contrastato, determinato prima dallo scoppio della bolla immobiliare e poi della crisi bancaria. Nel caso spagnolo il debito privato delle famiglie è cresciuto dal 110% del 2005 al picco del 131% del 2010 (+21% in cinque anni), quindi è precipitato al 103% nel 2016 (-28% in 6 anni).
Diversamente in Francia il rapporto è cresciuto dal 72,2% all’89,5% (+17,3%). In Italia, l’andamento è stato altalenante: il rapporto è dapprima è cresciuto dal 55,5% del 2007 al 64,6% del 2012 (+9,3%), e poi si è costantemente ridotto fino al 61,6% del 2016 (-3%). Il dato clamoroso che emerge (e che i commissari europei della Troika continuano a voler volutamente ignorare) e che le famiglie italiane, quindi, continuano ad essere assai meno indebitate di quelle tedesche (-21,1%), di quelle francesi (-27,9%), di quelle spagnole (-41,4%), e soprattutto di quelle britanniche (-64,8%).
E’ evidente anche solo sulla base di questi numeri che dalla trappola del debito pubblico non ne verremo mai fuori se non rompendo la gabbia dell’Eurozona e dell’Unione Europea e nazionalizzando le banche, a partire dalla Banca d’Italia, volutamente sganciata dal Ministero del Tesoro con la direttiva Andreatta nel 1981 e che segnò proprio l’esplosione del debito pubblico nel nostro paese. Prima si afferma la piena coscienza di tale situazione, meglio è. La Piattaforma Eurostop è nata per questi motivi.
(Per i dati abbiamo utilizzato un articolo di Guido Salerno Aletta da Milano Finanza del 18/11/2017)
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