Qualche mese fa
ragionavamo dello iato – colossale – tra percezione e realtà dei
fenomeni migratori in Italia. Nella virtualità dei rapporti politici e
mediatici ci viene raccontato un paese “invaso” da migranti in fuga;
nella realtà le statistiche ufficiali ci descrivono un paese che si sta
lentamente svuotando. Il numero di italiani che emigrano è superiore al
numero di stranieri che arrivano in Italia. Un numero talmente grande –
quello degli italiani emigranti – da preoccupare persino organizzazioni
internazionali come l’Ocse. Qualche giorno fa sul Corriere della Sera Federico
Fubini faceva luce su un’altra serie di dati che smentiscono
clamorosamente la percezione mediatica della realtà. Il primo: «il 2017
potrebbe rilevarsi il primo anno della storia recente nel quale il
numero di stranieri che vivono in Italia inizia a diminuire». Tanto
strepitare di invasione, ed ecco che la popolazione migrante diminuisce
invece di aumentare. Un fatto storico, visto che dal 1981 la popolazione
migrante nel nostro paese è sempre aumentata. Ma di quanto? Ecco un
altro dato che fa letteralmente a cazzotti con la narrazione
politico-mediatica del bel paese ospitale: «dal 2013 il totale dei
residenti stranieri è sempre aumentato di meno di 50mila persone
all’anno». Facendo due calcoli, scopriremmo
che per arrivare a un milione di migranti, cioè la sessantesima parte
della popolazione italiana, occorrerebbero circa vent’anni. Un risultato
che però sarà difficile da raggiungere, visto che i migranti stanno ri-emigrando:
«sono arrivati per farsi una vita tempo fa e ora sempre più spesso
vanno via per rifarsene un'altra in un altro Paese». Non stiamo
parlando, in questo caso, di chi approda nel nostro paese per cercare di
svignarsela il prima possibile verso altri contesti lavorativamente più
seducenti. Stiamo parlando di chi in Italia ci è rimasto e sta
emigrando nuovamente. Per anni la politica italiana si è occupata dei
famigerati «cervelli in fuga» e del lavapiatti precario che emigra per
fare il lavapiatti precario a Londra. Ma c’è un fenomeno più critico,
quello cioè del migrante integrato che sceglie ad un certo punto di
migrare altrove. Più critico perché disperde risorse umane integrate nel
contesto produttivo, e perché è un fenomeno molto più grande
dell’emigrazione dall’Italia di italiani: «La fuga dei giovani nati in
Italia, a ben vedere, rischia di far nascondere un po’ il fenomeno – più
intenso – della fuga dall’Italia dei nati all’estero. In realtà però gli immigrati stanno ri-emigrando fuori dall’Italia a ritmo cinque volte più veloce di quanto facciano i giovani italiani».
Per di più, «molto probabilmente i numeri reali sono maggiori sia per
loro che per i migranti italiani, perché in tanti partono senza
cancellare la residenza di origine». Il fenomeno dunque, già
preoccupante di per sé, sembrerebbe addirittura sottostimato. Per
dare l’idea dell’imponenza di questo deflusso demografico, che accomuna
italiani e migranti e che smonta le fondamenta di qualsiasi retorica
“invasionista”, Fubini ricorda che l’Italia «fra il 2007 e il 2015 è fra
le prime trenta democrazie avanzate dell’Ocse quella che ha visto il maggiore crollo di afflussi migranti (-67%)».
Queste le statistiche ufficiali: proprio nel periodo in cui più si è
martellato sull’invasione migrante, sui «siriani in fuga dalla guerra»,
sulle orde africane, sul corridoio libico, sui mercenari trafficanti
che, in combutta col capitalismo “sostituzionista”, starebbe
stravolgendo il nostro prezioso codice genetico, scopriamo che nel
decennio appena trascorso l’afflusso migrante è crollato del 67%. Il
risultato, uno dei tanti di questo paradosso meta-narrativo nel quale
siamo immersi, è che siamo costretti a concordare con la conclusione di
Fubini, alfiere liberista del corrierone: «Di certo l’Italia ha l’aria
di soffrire di una specie di inversione cognitiva: mentre il ceto
politico non fa che dibattere su un’“invasione” dall’estero, si consuma
fra gli stranieri più qualificati e (un tempo) più integrati una sorta
di silenzioso deflusso verso l’estero».
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