Chi ragiona in politichese non lo potrà mai capire: consenso elettorale e equilibri politici dipendono da una certa struttura sociale. Se questa è “equilibrata” – ossia con un livello di soddisfazione e benessere che copre la grande maggioranza della popolazione – anche la sfera della politica avrà un suo equilibrio, relativamente stabile negli anni. Se al contrario si moltiplicano le figure sociali che sentono peggiorare la propria condizione, allora anche l’equilibrio politico andrà a ramengo. Qualsiasi sia il marchingegno elettorale, qualsiasi sia il livello di “disponibilità” dei vari partiti alla collaborazione.
La notizia di stamattina è che la Germania, a due mesi dalle elezioni (24 settembre), non riesce a darsi un governo. Intorno alla mezzanotte le trattative per formare una coalizione “giamaica” – unendo i colori identificativi di democristiani (Cdu e Csu bavarese), liberali e verdi – si sono interrotte con una vera e propria rottura che non lascia al momento immaginare soluzioni.
A far saltare il tavolo, alla fine, è stato il leader dei liberali Christian Lindner: “Manca la fiducia di base” fra i vari partiti, affermando che i liberali non vogliono “piantare in asso” gli elettori, e che, in questa situazione, “meglio non governare affatto che governare male”.
I punti su cui si è consumata la rottura sono ufficialmente la politica sull’immigrazione (i liberali chiedevano un tetto fisso massimo di 200.000 persone l’anno) e quella energetica (con il ritorno al carbone, ormai vietato in molti land e fiscalmente svantaggiato della Repubblica federale). In realtà è noto che i liberali pretendono anche una drastica svolta rispetto all’Unione Europea, irrigidendo oltre ogni immaginazione la stretta sui paesi con alto debito pubblico (Piigs, ma anche la Francia) e rifiutando anche la sola ipotesi di una condivisione dei rischi al livello dell’Eurozona.
La rottura ha insomma forti caratteristiche di destra nazionalistica, da “paese benestante” che guarda con fastidio quelli poveri e che ha pesantemente contribuito a impoverire da quando è iniziata la presente crisi finanziaria ed economica globale. Si avverte, in questo senso, la pesante presenza sociale dell’Afd – Alternative fur Deutschland, formazione ormai di estrema destra, con evidenti nostalgie naziste – che raccoglie buon parte dei consensi nelle fasce della popolazione più impoverite, oltre che in settori nazionalistici dell’élite.
Neppure la Germania ha superato indenne il processo di distruzione consapevole del “modello sociale europeo”, fatto di welfare, diritti e salari decenti. Fin dall’inizio del nuovo secolo, infatti, con le “leggi Hartz” ha introdotto la precarietà lavorativa e salari da fame, in un quadro legislativo che tende a punire chi non trova lavoro. Ci si aggiunga la fortissima ristrutturazione in atto nell’industria, con l’automazione che va a sostituire centinaia di migliaia di posti di lavoro un tempo “ottimi” (nell’automotive, ma non solo), ed ecco che il quadro sociale tedesco comincia a prendere forme assai meno idilliache di quanto si avverta nel resto d’Europa.
Ma la Germania è anche il pilastro fondamentale dell’Unione Europea. La sua instabilità interna sollecita i “neuroni specchio” in tutti gli altri paesi, moltiplicando i segnali di incertezza. Le crisi degli altri partner sono insomma tollerabili solo se la Germania è stabilissima. Altrimenti tutto balla...
Ne è consapevole per prima proprio Angela Merkel, la leader più longeva e potente d’Europa: «è il giorno in cui bisogna esaminare a fondo il futuro della Germania», «come cancelliere e come cancelliere incaricato, farò tutto perché il paese continui a essere ben governato nelle dure settimane che arriveranno».preca
Oggi dovrebbe recarsi da presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier, per illustrare la situazione. Non ha soluzioni alternative praticabili, dopo che i socialdemocratici guidati da Martin Schultz hanno ribadito l’indisponibilità a ripercorrere la strada della “Grosse Koalition”, che li ha portati al minimo storico.
L’ipotesi di un esecutivo di minoranza, che di volta in volta cerca i voti sui singoli provvedimenti, è un po’ troppo osé per le abitudini tedesche. Mentre il ritorno alle urne sancirebbe la fine politica di Angela Merkel e dunque la scomparsa del “punto di equilibrio” conservatore, sia in Germania che, a maggior ragione, in Europa.
E tutto questo, va da sé, non può dipendere da fattori “ideologici” o “culturali”...
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